sabato 14 marzo 2009

nessun cappotto nuovo!


Mio nonno nell'inverno del 1947 si fece fare da una nota sartoria dell'epoca "Repubblica Italiana, abiti costituiti su misura", un cappotto di ottima fattura. Anni di lavoro, di sacrifici e di risparmi lentamente accumulati per un capo di abbigliamento che - così lo avevano rassicurato- sarebbe durato in eterno. Era certo che le parole dei vecchi maestri di cucito fossero un po' esagerate ma era anche convinto che l'affare ne era valso la pena. Quel cappotto avrebbe riscaldato e protetto il suo corpo e quelli delle generazioni future. La lana era di una qualità superiore ed il taglio classico non avrebbe temuto i cambiamenti legati a mode sempre più volubili.
E così è stato per 62 anni.

Oggi l'ho riportato dalla lavanderia pronto a riporlo nell'armadio, come ogni inizio primavera. Prima però lo ricopro attentamente con un involucro di nylon per proteggerlo dalla polvere e dalle tarme.
"ricordati di trattarlo bene, questo non è un semplice cappotto, va rispettato, protetto dalle calamità naturali e dagli uomini, come fosse la sindone... non hai idea di quanto sudore e quanta sofferenza siano serviti per realizzare questo capo, ci saranno persone che per semplice invidia o per spregio ti derideranno per spingerti a disfartene, con la scusa della sua linea oramai superata cercheranno di convincerti a cambiare modello a passare a qualcosa di più leggero, di più pratico... ma tu non ascoltare tutte quelle sirene dal sorriso di iena perché dietro alle loro parole ci sono soltanto menzogne, sanno benissimo che fino a quando tu porterai quel cappotto tu sarai al sicuro, al riparo e non solamente dalle intemperie..."
Ricordo ancora le parole che mio padre proferì quando me lo donò come se stesse per affidarmi la cosa più preziosa al mondo; certamente uguali a quelle pronunciate prima di lui da mio nonno e sicuramente le stesse che domani dirò a mio figlio proseguendo quel rito oramai consueto, atto più a tramandare memoria che un capo di abbigliamento.

Prima di riporre al sicuro quel vecchio ma ancora caldo cappotto lo appendo alla maniglia della finestra per osservarlo nella sua interezza. Sembra ancora intatto, quasi nuovo, la lana non è infeltrita e non dimostra assolutamente i suoi quasi 70 anni... certo potrei cambiare i bottoni, sistemare l'orlo leggermente scucito e magari sostituire la fodera interna, quello sì, ma per il resto mi sembra vada ancora bene, senza dubbio riuscirà a svolgere il suo compito con assoluta efficacia per molti anni ancora.
Mi affaccio alla finestra e vedo degli operai che stanno montando un'insegna a quel nuovo negozio che stanno per aprire proprio di fronte alla mia casa.
Dicono sia una nuova sartoria... strano di questi tempi - penso - gestita da certe persone del nord italia, Tura mi pare si chiamino.
Ecco ora la scritta è in bella mostra, caratteri cubitali rossi su sfondo nero:
leggo: DITTA TURA abiti e cappotti alla moda.


venerdì 13 marzo 2009

mercoledì 4 marzo 2009

realitaly sciov

Chi l'ha detto che la vita di un uomo non possa cambiare da così a così in un semplice battito di ciglia?
Prendiamo ad esempio Giovanni Pestalocchi detto il sega - il motivo di tale soprannome ve lo lascio immaginare, l'unico indizio che vi posso dare è che non faceva né il boscaiolo né il falegname - un uomo quasi invisibile, tanta era la poco considerazione che gli altri frequentatori del bar " piccola Italia " gli riservavano.
Se ne stava per la maggior parte del tempo seduto al bancone con un'inseparabile bottiglia di birra di pessima qualità, come unica compagna. Lo sguardo perso e la bocca leggermente spalancata sui denti ingialliti dal fumo, gli conferivano un aspetto del tutto sgradevole, e i suoi vestiti logori spesso impataccati, erano la ciliegina su una torta venuta davvero male. Passava gran parte delle sue giornate a bere ed a assecondare in discussioni completamente inutili e stupide, ora questo, ora quello -annuendo per lo più - con la speranza di accaparrarsi qualche briciola di attenzione dallo stronzo di turno, che a volte, forse per compassione, oppure semplicemente perché non sapeva come far notte, gli rivolgeva la parola: " allora sega, come va? guarda che pestoni hai sotto gli occhi, ci dai di mancina, eh? brutto porco!
"secondo me usa tutte e due le mani" faceva eco una voce in fondo al locale.
E giù risate.
Giovanni Pestalocchi fingeva indignazione alzando l'indice della mano sinistra in una direzione a caso, e fanculava tutti, ma era solo per far scena, perché era comunque grato di quell'attimo di considerazione, di quel istante di popolarità altrimenti così raro.
In quel bar gli avventori erano di varia estrazione sociale, operai, liberi professionisti e piccoli imprenditori locali; bevevano tranquillamente assieme senza alcun problema. Una volta varcata la porta del bar, i conflitti di classe scomparivano del tutto, dato che le cose che avevano in comune erano davvero tante: erano tutti tifosi della medesima squadra di calcio, maschiacci virili con un pizzico di misoginia, razzisti quanto basta e per non farsi mancare niente condivano il tutto con forti convinzioni fasciste. Brava gente insomma, camicie nere con cravatta verde... alla page. Sembravano l'immagine stereotipata di un modello ben delineato di pezzo di merda, ma purtroppo non erano frutto di fantasia, erano veri e indubbiamente contemporanei. Appartenevano a quella categoria di persone che per emergere nella vita non ha certo bisogno di studiare, di lavorare onestamente, di rispettare le regole... "quelle sono per gli idioti" dicevano. Era gente orgogliosa della propria ignoranza che si vantava continuamente di non aver mai letto neppure un libro "c'abbiamo mica tempo da perdere, noi, qua si produce, cazzo!" sostenevano a gran voce. Erano fermamente convinti che la grandezza di un uomo si misurasse soprattutto dai soldi che gli uscivano dalle tasche e dalle dimensioni della sua automobile; da adolescenti era la lunghezza del pene, motivo di prestigio, ora sostituita dalla cilindrata del fuoristrada, ambedue ritenuti comunque indispensabili per raggiungere lo stesso obiettivo. Oltre alle varie discussioni sul calcio, sulle due e quattro ruote, sulla pura razza italica in pericolo a causa delle sempre più probabili invasioni barbariche, a tener banco era soprattutto il ssèsssso, con 6 esse e l'accento sulla e.
Il vantarsi delle proprie conquiste femminili era ancora il motivo principale di ogni discussione. Naturalmente c'erano i guru del sesso, quelli che venivano considerati come dei veri e propri miti. Questi mica sparavano cazzate, tiravano fuori i telefoni cellulari e mostravano a tutti l'ultimo sms dell'amante di turno; il tono di tale missiva era piuttosto incandescente e non mancava mai di suscitare, bave e pruriti inguinali, ai maschietti in calore che gravitavano loro attorno come un'aureola di mosconi. Qualche malizioso avanzava il sospetto che erano loro stessi, ad inviarsi tramite un secondo telefono, questi lascivi messaggini, ma veniva prontamente azzittito con l'accusa di far esercizio di dietrologia ( non credo fossero proprio queste le parole esatte) o semplicemente di essere rosi dall'invidia. In realtà questi subumani profeti dell'eros, questi maestri dell'eloquenza amorosa erano dei veri mistificatori. Ogni frase che pronunciavano, ogni battuta utilizzata nella loro attività mandrillesca, non erano quasi mai frutto della loro creatività, del loro ingegno, ma venivano estrapolate da alcuni manuali, senza i quali non avrebbero saputo aprire bocca, neppure per chiedere "da accendere" alla più ingenua delle ragazze. Questi vademecum erano praticamente delle piccole garzantine molto utili per cavarsela in ogni situazione. Ecco alcuni titoli: "1000 frasi per ogni circostanza, 1000 sms d'amore per fare impazzire la tua donna, 100 modi per lasciare la tua amante e uscirne a testa alta, le 100 scuse più efficaci se vieni colto in flagrante da tua moglie" e così via.
Questi e altri ameni trastulli, erano il pane quotidiano nel caffè "piccola Italia" e coinvolgevano tutti, tranne il nostro Giovanni Pestalocchi, considerato poco più di un soprammobile. Ci si accorgeva della sua non-presenza solamente quando la noia soffocava e non c'erano alternative; allora via con qualche scappellotto e qualche battuta di dubbio gusto. Soltanto in quelle rare occasioni Giovanni diventava visibile e soprattutto aveva la sensazione di esistere.
Ma poi accadde...
Un tardo pomeriggio non diverso dal solito, entrò nel locale un ragazzo di carnagione scura, probabilmente un nord africano.
Chiese un bicchiere d'acqua e si sedette al banco proprio accanto a Giovanni ancora intento a riflettere - si fa per dire - sulle ultime prese per il culo da parte dei cari compagni; naturalmente tracannava la sua immancabile birra fon furst. Il ragazzo finito di bere si alzò di scatto e inavvertitamente urtò il gomito dell'uomo invisibile che per la prima volta nella sua vita ebbe una reazione del tutto inaspettata, per uno come lui considerato poco più di un'ameba. Ma come molti sanno, anche l'essere più mite può improvvisamente esplodere. Giovanni era stato urtato da qualcuno che nella scala gerarchica del bar, veniva considerato inferiore persino a lui; in quel microcosmo di intolleranza e di machismo solamente uno straniero, un "estracomunitario" - così lo chiamavano - poteva essere giudicato subalterno a uno come lui.
Come si era permesso quel "lurido clandestino" - così urlava - ad offenderlo in quel modo!
Naturalmente tutti si voltarono increduli, alle grida inferocite del nostro eroe che nel frattempo era sceso giù dallo sgabello e con estrema ferocia indicava con un gesto eloquente la porta a quel povero tunisino che invano cercava di scusarsi. Nell'impeto Giovanni inciampò, cosa che lo fece imbestialire ancora di più, così agguantò il ragazzo per un braccio e lo scaraventò fuori dal locale in malo modo.
Nel bar gli sguardi erano attoniti e regnava il silenzio.
Ma dopo qualche secondo quell'atmosfera surreale fu rotta da risa, urla di incitamento, pacche sulle spalle e parole, per le prima volta, non atte a deridere ma al contrario a testimoniare profonda stima e solidarietà.
Da quel giorno per Giovanni tutto cambiò.
Diventò parte di un qualcosa, di un mondo dove fino a poco prima gli era stato impedito di entrare.
La sua auto-stima crebbe, cominciò ad avere cura della sua persona e trovò addirittura lavoro nella fabbrichetta di uno degli avventori.
Oramai la svolta era avvenuta. Giovanni faceva parte del gruppo.
Ma la completa accettazione doveva ancora arrivare; giunse alcuni giorni dopo con l'esplicita richiesta del suo datore di lavoro di far parte di una di quelle " ronde" che da qualche mese operavano in città a difesa degli onesti cittadini, in ausilio alle forze dell'ordine sempre più mortificate, sempre meno in grado di garantire sia la forza che l'ordine.
Sempre meno capaci di garantire la sicurezza, "di proteggere le nostre donne, le nostre figlie da quei lerci individui che essendo di cultura diversa dalla nostra, sono delle vere bestie e non sanno cosa vuol dire rispettare le femmine " - così sbraitavano i degni rappresentanti di una società aperta ed emancipata quale è la nostra...
Giovanni non poteva credere alle proprie orecchie. La sua vita era davvero cambiata. Da parassita a membro - addirittura - di una ronda, a tutore della legge; non era incredibile tutto questo? Se di giorno, fra padrone e dipendente sussistevano ancora differenze gerarchiche, la sera si annullavano del tutto; con il loro giubbotti fluorescenti erano del tutto uguali senza alcuna distinzione di classe, camminavano sicuri e fieri uno a fianco all'altro.
Fino a quella notte.
Stavano rientrando dal loro giro, stanchi ma felici, anche un po'" bevuti" a dire il vero; Giovanni aveva comperato una bottiglia di rum e l'avevano divisa equamente, da buoni camerati.
Si stavano avvicinando a "vicolo degli inganni" quando all'improvviso si sentì un grido di donna piuttosto ben distinto.
Non doveva provenire da molto lontano perciò accelerarono il passo, girato l'angolo videro due figure: una più alta, probabilmente di un uomo e pochi metri più avanti una più bassa che correva e urlava come una pazza.
Intimarono all'uomo di fermarsi ma quello si limitò a girarsi.
Probabilmente spaventato dall'accorrere di quelle persone, decise malauguratamente di scappare ed inciampò nel marciapiede.
Successe tutto in un attimo.
La nostra ronda, armata di lunghe torce piombò sul malcapitato e intraviste le sembianze dell'individuo, barba lunga e scura tipica del nemico per eccellenza, non stette a fare ragionamenti astrusi e non si prese la briga di fare alcuna domanda a quella persona verosimilmente colpevole - perché chi scappa non può essere che colpevole -, si limitò a fare una semplice somma, uno più uno, e cominciò a sferrare colpi all'impazzata; Giovanni colpì l'uomo alla nuca, non con l'intento di uccidere, voleva soltanto fargli male, molto male, ma non avendo effettuato studi di anatomia non poteva sapere di aver colpito un punto vitale, quando vide il malcapitato accasciarsi al suolo.
Il presunto aggressore giaceva a terra, immobile con il volto schiacciato sul selciato.
Lo rigirarono bruscamente intimandogli di far vedere la sua brutta faccia ma non ebbero alcuna risposta... quello che invece videro fu il volto, illuminato dal lampione, di Paolino, un poveraccio innocuo che abitava nel quartiere, trasfigurato dalla paura e dalla morte che ora li trapassava con la fissità dello suo sguardo. Nella mano destra teneva ancora il guanto che aveva raccolto per strada e che voleva gentilmente riconsegnare alla donna che camminava frettolosamente perché spaventata sia dal suo incedere di vagabondo che da mesi di campagna mediatica incentrata sulla paura.
Si sentirono in lontananza le sirene della polizia. Giovanni era rimasto solo.
La torcia pendeva dalla sua mano come una protesi: all'estremità scendeva una piccola goccia di sangue.
I fumi dell'alcol erano del tutto svaniti ma questo non migliorava di certo la situazione.
" E' stato un errore" disse a bassa voce " un errore umano"

Chi l'ha detto che la vita di un uomo non possa cambiare da così a così in un batter d'occhio?
Prendiamo ad esempio Giovanni Pestalocchi.


stefano

domenica 1 marzo 2009