venerdì 4 novembre 2016

memorie di un lettore


l'altro ieri sull'Indipendente online ho letto questo articolo "sbirciare nei libri degli altri" e mi è tornato in mente una cosa scritta anni fa proprio su questa che ritenevo una mia mania ma che invece pare essere "normale" curiosità di molti appassionati di libri. Niente di che ma la ripropongo per chi avesse voglia di perdere una manciata di minuti, quelli che bastano per leggere queste poche righe.



coitus interruptus

“ E’ libero”?
Domanda davvero stupida visto che nello scompartimento, a parte la ragazza non c’è nessuno.
Lei accenna un lieve sorriso con fare distratto, senza però distogliere lo sguardo da un libro che sta leggendo con particolare attenzione.
Mi lascio cadere pesantemente sul sedile, sollevando un leggero pulviscolo che solletica le narici; accanto, la giovane donna non si scompone. Sembra davvero incatenata a quelle parole che scorrono sotto i suoi occhi grandi e luminosi.
Il mio sguardo annoiato si posa sulle vecchie stampe che ho di fronte, lo faccio sempre quando viaggio in treno. Il convoglio si muove. Dopo alcuni minuti passati a rincorrere pensieri sfuggenti, vengo improvvisamente colto da un’irresistibile e insano desiderio: scoprire di quale sortilegio è vittima la mia occasionale compagna di viaggio.
Cosa diavolo starà leggendo!?
Con fare disinvolto, con “nonchalance”, avvicino la testa a quella riccioluta della ragazza fino a percepirne il profumo fresco, pulito, piacevole. Cerco ora, allungando il collo, di insinuare lo sguardo fra quelle pagine giallognole piegando leggermente la testa di lato ma improvvisamente lei si gira e mi fulmina con uno sguardo più che eloquente! Le sorrido timidamente e mi giro dall’altra parte. Il viso mi si infiamma quando scorgo con la coda dell’occhio che si sta abbottonando la camicetta bianca all’altezza del seno. Vorrei dire qualcosa per giustificarmi, ma taccio.
Il tempo scorre, al di là del vetro il monotono e cadenzato rumore del treno.
L’atmosfera pare ovattata. Le palpebre si fanno pesanti ma invece di abbandonarmi al torpore che pare assalirmi mi scuoto e muovo la testa per sciogliere i muscoli irrigiditi del collo e così mi accorgo che la ragazza si è addormentata con il libro tra le mani.
Di nuovo quell’insana pulsione: questa è la mia ultima possibilità, sussurro ad un altro me stesso. Cautamente, dopo essermi guardato attorno, avanzo con la mano verso il misterioso libello che si alza e si abbassa al ritmo lento del respiro di lei, lo afferro con la punta delle dita e… “ Ma che diavolo stai facendo brutto stronzo?” Con il volume mi sferra in pieno viso una botta che mi lascia intontito per un istante, mi accorgo che sta per colpirmi nuovamente ma riesco a schivare il colpo per un pelo; a salvarmi dalla furia della donna  la brusca e tempestiva fermata del treno. Senza pensarci troppo mi alzo, afferro la mia borsa, esco dallo scompartimento e scendo lestamente dal convoglio.
La vedo dal marciapiede che urla sguaiatamente nella mia direzione, mentre cerca di aprire il finestrino che per fortuna è bloccato. Nella mano destra tiene ancora il libro con la copertina rivolta verso di me… Allora deciso a fare l’ultimo tentativo, mi avvicino a piccoli passi. La ragazza per un attimo è come paralizzata dallo stupore. Ora accelero per paura che il treno se ne vada ma proprio quando la distanza è tale che i miei occhi  miopi riescono a mettere a fuoco le prime lettere  “SOG…” lei, probabilmente terrorizzata, chiude bruscamente la tendina, calando definitivamente il sipario sulla mia curiosità inappagata.
Il treno, con il suo tipico sferragliare, lentamente si rimette in movimento.
Sospiro deluso e mi dirigo verso il tabellone degli orari.
                                                                                                                     (qualche anno fa)

giovedì 13 ottobre 2016

certo oggi si sta meglio rispetto al passato ma prova a fare il bagno nel fiume

progresso, qualche domanda. Per quanto mi riguarda quello tecnologico serve a ben poco, anzi potrebbe pure fare danni se non avviene contemporaneamente a quello del pensiero,  a quella crescita culturale indispensabile affinchè non si manchi mai di riflettere prima di accettare passivamente ogni cambiamento come fosse sia ineluttabile che positivo…lo spirito critico è più che mai necessario e dovrebbe essere continuamente coltivato.  la cosa che viene continuamente sollevata quando si discute di argomenti simili è  che rispetto al passato si viva molto di più, ma raramente ci si sofferma sulla qualità di quella vita… a parte che di quello che accadrà domani, se sarà ancora così, credo sia  difficile prevederlo, viste le condizioni economiche (e non solo) in cui versiamo, siamo davvero sicuri che questo sia sempre e in ogni caso un bene? Certo posso solo fare supposizioni ma da quello che vedo e sento in giro mi pare che molti siano già con il fiato corto a metà strada, demotivati, delusi,…non il male di vivere del poeta melanconico, dell’artista ma quello del criceto in gabbia, che pare non accorgersi della sua condizione, costretto a correre senza spostarsi di un centimetro. Senza la curiosità, la mente aperta, un pizzico di “joie de vivre”, (certo anche la salute e qualche denaro da spendere) penso sia inutile arrivare a 100 anni perché se hai vissuto con il cuore cieco per 40 anni temo che difficilmente comincerai a vedere negli anni successivi.    


"Be', devo essere ottimista. Va bene, dunque, perché vale la pena di vivere? Ecco un'ottima domanda. Be', esistono al mondo alcune cose, credo, per cui valga la pena di vivere. E cosa? Ok. Per me... io direi... il buon vecchio Groucho Marx tanto per dirne una, e Joe DiMaggio e... il secondo movimento della sinfonia Jupiter... Louis Armstrong, l'incisione Potato Head Blues... i film svedesi naturalmente... L'educazione sentimentale di Flaubert... Marlon Brando, Frank Sinatra, quelle incredibili... mele e pere dipinte da Cézanne, i granchi da Sam Wo, il viso di Tracy.." (Woody allen da Manhattan, 1979)

venerdì 7 ottobre 2016

La condivisione del dolore

c’è stato un tempo che i dentisti prendevano alla lettera la loro denominazione popolare: cavadenti. e  li cavavano eccome! a undici anni me ne avevano estratti già tre e la cosa purtroppo è durata ancora per una decina d’anni fino quando poi c’è stata un’ inversione di tendenza… cercare di recuperare mantenere in vita anche il più piccolo residuo di dente e allora via cure, devitalizzazioni, detartrasi  ecc. ecc. salvare il salvabile insomma. fino a quando non c’è più nulla da salvare. allora non resta che la ricostruzione, non prima di aver demolito i residui naturalmente. la cosa fantastica del dentista è che paghi, neanche poco, per soffrire, neanche poco ... ma torniamo al dunque; dunque due giorni  fa, trascorso il periodo necessario per l’intervento, ricrescita ossea, impronte, ecc. ecc.  mi hanno posizionato due impianti comprensivi di componentistica e moncone implantare (oh, c’è scritto così)…in pratica hanno tagliato la gengiva, raschiato, trapanato e avvitato dei coni in titanio nella mia mandibola poi il medico sapiente ha ricucito in modo mirabile il tutto. risultato è che ora sembro un Pitcher prima del lancio con ancora  in bocca una palla di tabacco da masticare, affetto da una tonsillite acuta e vado avanti con antibiotici e Oki…dovrei metterne un altro dall’altra parte... mmmh, mi sa che aspetto!

giovedì 15 settembre 2016

Cold cold Ground


  Il mio avvicinamento a Tom Waits è avvenuto tardi (1987), indirettamente grazie a Fabio che aveva allora tre anni. No, non era, allora, un enfant prodige. Ora spiego; tutto molto semplice. Eravamo andati, Cinzia ed io in un negozio Prenatal, in via Soardi a Rimini. Dopo aver fatto acquisti, mentre mia moglie si attardava, esco in strada a fumarmi una sigaretta (già, allora avevo questa abitudine…bei tempi!) e dagli altoparlanti del negozio di dischi situato proprio davanti al baby store parte una ballata mai sentita. La voce del cantante è calda e profonda, la musica semplice ma coinvolgente, basso chitarra poi entrava la fisarmonica “Cold Cold Ground “ ripeteva ad ogni strofa quella voce così cavernosa che pareva provenire proprio dalle viscere di quella terra di cui stava cantando. Esce Cinzia, la chiamo e le dico di ascoltare. Fu amore a primo ascolto.
Ancora oggi, quello rimane per noi un brano speciale, il primo boccone di quello che si sarebbe poi rivelato un piatto davvero delizioso.
Entrammo subito al New Note e chiedemmo di chi si trattasse. “Tom Waits, forse l’unico bianco che può permettersi di cantare blues” risponde uno dei proprietari di quel piccolo negozio che di lì a poco sarebbe diventato il “mio negozio” ( purtroppo oggi non c’è più) dove avrei trascorso gran parte del mio tempo. “lo prendo! Ce l’hai la cassetta?” (allora possedevo solo una piastra di registrazione) “No, purtroppo no, ho solo l’LP, su nastro però ho Rain Dogs, il suo album precedente, molto bello… Franks Wid Years mi arriverà la prossima settimana” Bene, ma siccome avevo le fregole e non volevo rimanere sulle spine per sette lunghi giorni acquistai Rain Dogs, che ad essere onesto, al primo ascolto risultò un poco coriaceo, non avevo ancora tarato l’orecchio su certe frequenze, ma poi…ma poi è tutta un’altra storia.

mercoledì 14 settembre 2016

genesi di un dipinto

Ricordo ancora la genesi di quel dipinto. Allora dipingevo su tavole di compensato intelaiate e nonostante avessi dato una mano di fondo le trame del legno mi portavano in una direzione  che non avevo alcuna intenzione di seguire. La mostra era davvero singolare, si protraeva  per tre settimane, tre artisti, una settimana per ciascuno; l’esposizione era visibile al pubblico unicamente dalle 20 alle 23 e si intitolava “terra d’ombra”. Avevo deciso che la mia installazione sarebbe consistita in un grande quadro posizionato dietro l’altare di  Santa Marina, piccola e suggestiva chiesa romanica di Novafeltria, ma ancora non sapevo cosa avrei dipinto. Ricordo i diversi tentativi e la difficoltà a creare un lavoro che avesse una sua forza spirituale ma che non fosse troppo didascalico finché non decisi di raschiare tutto e di ricominciare da capo lasciandomi completamente guidare da quello che i miei occhi vedevano su quella tavola di legno. La magia della pittura è proprio questa, a volte basta un segno, una macchia per  trovare la strada giusta, una strada che non avevi preso in considerazione. Nonostante avessi dipinto quello che pareva essere a tutti gli effetti  un cielo notturno, ancora non sapevo che da quel  lavoro avrei intrapeso una particolare ricerca sulle nuvole che ancora oggi nonostante diverse divagazioni, continua ad affascinarmi. Tutto cominciò una di quelle sere di settembre, di ritorno a rimini. Il cielo era coperto, rischiarato solo dalla flebile luce di una  luna prigioniera . Fu Franco che mi disse: guarda sembra il tuo cielo.

Un anno dopo, settembre 2005, nella Galleria Dell'Immagine di Rimini inaugurai Animus

giovedì 8 settembre 2016

un piccolo racconto riesumato




Sette



Il numero sette era il suo  numero preferito. Non per un particolare motivo, l'aveva scelto così, inconsciamente, tanti anni fa. Non c'entravano i sette peccati capitali, le sette note musicali o i colori dell'arcobaleno, no, niente di tutto questo. Una sola cosa, fra le tante che aveva scoperto attorno al suo numero portafortuna  o intrigava:  il sette veniva  considerato attraverso uno strano calcolo, un numero "felice". . A parte questo, ripeto, non esisteva niente di misterioso, di esoterico dietro a quella scelta...  Quello che più lo affascinava di quel numero era l'asciuttezza e la semplicità del segno grafico.  Il 6, il 9, l'8  sono numeri svelti  e un po' ruffiani con le loro curve ammiccanti  mentre il 7  no, niente salamelecchi, rigido, spigoloso non cerca di farsi amare a tutti i costi,  perciò chi lo sceglie lo fa accettandolo così com'è punto e basta. 

Anche gli uomini, Giuliano li giudicava con il medesimo metro e fu probabilmente per questo motivo che diventai il suo amico più fidato. Adorava le persone  lievemente antipatiche, più per timidezza che per arroganza, "un po' riservate che parlano poco ma che quando lo fanno devi prendere nota sul taccuino"  mi diceva  "l'essere taciturno rende l'uomo maggiormente affidabile" continuava. Quando raramente gli capitava di incontrarne qualcuno diceva sempre: "ecco un bel sette, mi piace".

Spesso mi raccontava quanto quel numero fosse stato presente in molti momenti della sua vita: a sette anni, la prima bici, durante le partite a pallone aveva sempre ricoperto il ruolo della mezzala con il numero 7 sulla maglietta, alle superiori aveva deciso che la media del sette fosse un risultato più che dignitoso - anche se alcuni insegnanti lo consideravano poco ambizioso -, 7 era il numero dell'autobus che lo portava a scuola, sette le donne della sua vita, l'ultima si chiamava Iris, e così via. Aveva addirittura cambiato il suo nome di battesimo, di otto lettere, da Giuliano  a Giulian" un po' meno provinciale, non trovi? " si giustificava. Anche se non lo ammetteva, quel numero era diventato per lui una vera ossessione e si sa, come  spesso le fissazioni scaramantiche possano condizionare lo svolgere della vita.

Ora  in quel preciso momento si trovava chiuso in un ascensore diretto al settimo piano di un vecchio  edificio totalmente occupato da uffici, civicamente situato al numero 7 di via Tarquinio Prisco (uno dei sette re di Roma). Nonostante fosse domenica, eri lì per lavoro.  A volte gli capitava di riflettere  su quella sua professione così insolita che svolgeva con grande dedizione da poco più di un anno ma con indubbia  predisposizione, visti i risultati piuttosto incoraggianti ottenuti. Certo la meticolosità, la precisione e la freddezza tipica del suo carattere lo avevano sicuramente aiutato.
Giulian era un Killer, un ottimo Killer.
  
Si era recato  in quel vecchio palazzo, nonostante fosse un giorno festivo per portare a termine – parola più che appropriata – questo nuovo e decisivo “incarico”. “Il prossimo sarà l’ultimo e poi basta" mi aveva confidato " ho già messo via un bel po' di quattrini e ho anche prenotato un volo per le Mauritius… Mi aspettano....”.
 "Un posto?!... e Iris?” gli avevo chiesto
“Iris mi ha stancato, sta diventando asfissiante, naturalmente non sospetta nulla, e per questo che la valigia con i contanti è meglio se la tieni tu… e poi non vorrei abusare della fortuna, l' ultima volta c'è mancato tanto così ".
In effetti, aveva accettato quest'ultimo affare con non poca  riluttanza - la precedente"commissione" aveva presentato notevoli difficoltà - ma i soldi in ballo questa volta erano davvero molti e poi lo tranquillizzavano tutti quei 7:  numero civico, settimo piano, settimo incarico, settimo giorno della settimana... quel numero gli aveva sempre portato fortuna e, ne era fortemente convinto, lo avrebbe fatto anche questa volta. Aveva ripassato il piano nei minimi dettagli: il "soggetto" ogni giorno, immancabilmente, compreso la domenica si fermava nel suo studio per pianificare personalmente il lavoro per la giornata successiva e lo stabile a quell'ora era completamente deserto. Tutto nella sua mente era stato calcolato nel minimo dettaglio, come al solito. Certo se non ci fosse stato quell'imprevisto dell'ascensore sarebbe stato perfetto perché niente gli procurava ansia come il salire su un ascensore.  Si sentiva in trappola dentro quella scatola e lo innervosiva essere in balia di quel mezzo meccanico, lungo o corto fosse il tragitto. Solitamente preferiva salire le scale a piedi " per tenermi in forma "  - diceva, ma in realtà non sopportava di restare chiuso  in quel parallelepipedo scricchiolante, gli mancava l'aria ma  soprattutto temeva di precipitare, che i cavi all'improvviso potessero cedere.
Immaginava la discesa verso l'inferno e sentiva tutta l'impotenza dell'uomo. "almeno avessero messo delle sbarre, quassù in alto, così da potersi attaccare nell’attesa dell'impatto".... Queste e altre assurdità vagavano nella sua mente ogni volta che ne prendeva uno. Odiava non avere il controllo totale sulle cose.
Questa volta non aveva avuto scelta: un triplo nastro bianco e rosso sbarrava l'accesso alle scale e un cartello ne indicava l'inaccessibilità a causa di una manutenzione straordinaria.
A malincuore si era visto costretto ad usufruire di quel montacarichi dall'aspetto poco rassicurante.
Con la mano inguantata aveva schiacciato nervosamente il pulsante con su stampigliato il numero sette e l'ascesa era cominciata.
Fu in prossimità del sesto piano che quello che aveva sempre temuto accadde: l'ascensore rallentò fino a fermarsi, si sentì un sibilo assordante  simile al fischio del treno seguito da un rumore di ferraglia e un istante dopo, con un grido lancinante l'ascensore precipitò.
Ci mise 7 secondi a fracassarsi al suolo.
In quella frazione di tempo, Giulian non ebbe il tempo di formulare il ben che minimo pensiero.
Ma anche se generosamente gli fosse stato concesso qualche minuto ancora, difficilmente avrebbe realizzato che quella sua triste fine non era dovuta semplicemente ad uno scherzo del destino, ad un lancio di dadi sbagliato.


difficilmente avrebbe realizzato  che Iris si era accorta da tempo del calo di passione nei suoi confronti
difficilmente avrebbe realizzato che io, l’amico fedele ero diventato il suo amante
difficilmente avrebbe realizzato che subito dopo la sua confidenza di voler sparire con tutti i soldi io ed Iris abbiamo organizzato il nostro piano
difficilmente avrebbe realizzato che eravamo stati noi a ingaggiarlo per quell'incarico  e infine
difficilmente avrebbe realizzato che il cartello posto davanti alle scale si riferiva all'ascensore: era  bastato semplicemente spostarlo… 
Beh, ad essere sinceri, qualche bullone l’ho allentato, così per precauzione, sette per la precisione.

Iris era la tua settima donna, caro Giulian e tu l'hai tradita infrangendo così l'ultimo dei sette sigilli


Stefano Mina




sabato 19 marzo 2016

fast music, fast cinema, fast...

   Tra i tanti, uno dei motivi per cui ascolto sempre volentieri radio3 è che che se stai ascoltando un pezzo musicale che sia classico o leggero, jazz o rock te lo lasciano ascoltare fino alla fine. Mi pare di aver sentito che, in tempi oramai lontani,  certi brani di Fela Kuti venivano raramente trasmessi in radio a causa della loro durata che spesso si aggirava sui 20 minuti; in quel caso, pur con grande dispiacere, si poteva comunque capire il senso di quelle scelte.  Oggi, nelle radio “commerciali” non hanno invece nessuna giustificazione visto che tagliano persino la coda ad una canzone di poco più di 3 minuti e trovo questo atteggiamento una totale mancanza di rispetto sia per il pubblico che per l’autore. Insomma pur non essendo costruito come un brano classico ogni lavoro musicale è composto da un inizio, una parte centrale e una parte finale  che assieme danno un senso compiuto alla composizione. Invece spesso la canzone viene castrata impunemente, impietosamente senza alcun imbarazzo, come se quegli istanti finali fossero superflui (badate bene, non sto parlando di brani mixati) Il risultato è che oramai anche chi ascolta compie questo gesto censorio passando da un brano all’altro in una incomprensibile corsa contro il tempo. Certo la mia è la scoperta dell’acqua calda, visto che oramai il modo di consumare cinema, musica, ecc. ecc.  è questo; l’importante è avere sul proprio computer discografie complete, filmografie che neppure in due vite uno riuscirebbe a visionare... che sia questo il motivo di tanta fretta?
No, non credo. Da  tempo oramai la diffusione, il consumo, il modo di usufruire di questi prodotti, che rimangono comunque prodotti culturali, è equiparato a qualsiasi  altra merce e serve principalmente a vendere spazi pubblicitari che ci spingeranno ad acquistare altra merce che dobbiamo in fretta ingerire e in fretta digerire…perché dunque perdere il nostro preziosissimo tempo ad assaporare il cibo, ad ascoltare ”davvero” musica, a guardare un film dai titoli di testa a quelli di coda  quando c’è già qualcosa d’altro che bolle in pentola. Allora non  resta che cacciarci due dita in gola per fare un poco di spazio; come i nostri antichi predecessori dell’impero romano… che se non ricordo male mi pare sia poi decaduto...

Anni fa c’era un brano di N. Fabi, “ il negozio di antiquariato”, una canzone dignitosa, anche per merito di Stefano di Battista al sassofono, che quando passava in radio ascoltavo con piacere… purtroppo al nostro valente jazzista veniva lasciato lo spazio per l’assolo proprio in chiusura di brano, ben 80 secondi! Un’eresia per i nostri conduttori radiofonici, 1 minuto e 20 di sola musica,  ma dai non scherziamo! e allora ogni volta senza nessuna eccezione…zac!




9 minuti e 13 secondi...la parte finale è interessante

giovedì 11 febbraio 2016

fuori posto?

Certo, lui  ci provava ad essere obiettivo. Come aveva sempre fatto metteva sulla bilancia le ragioni degli uni e quelle degli altri ma non c’era nulla da fare e alla fine stava sempre dalla parte degli ultimi, nonostante si rendesse conto che queste sue scelte lo stavano sempre più isolando. Se non fosse stato per i pochi amici e la sua stretta cerchia famigliare  la situazione sarebbe stata davvero critica, soprattutto per la sua salute mentale, perché nonostante sentisse nel profondo che era nel giusto, rendersi conto ogni giorno di più di quanto la società stesse inesorabilmente peggiorando, culturalmente ma soprattutto civilmente, gli dava come una vertigine, un senso di oppressione di cui faticava sempre più a liberarsi. No, non erano le notizie di cronaca dei quotidiani o quelle scandite da giornalisti televisivi sempre meno credibili a rattristarlo ma il vocabolario quotidiano della cosiddetta “gente comune” di quelli che incontrava al bar, nei negozi, sul lavoro, il vocabolario di chi ha smesso da tempo di porsi domande, di chi ha preferito affidarsi a reazioni scomposte, ai propri bassi istinti e ha rinunciato una volta per tutte a mettersi nei panni degli altri, quelli sporchi, intrisi di miseria e di sudore a difesa del proprio mondo sempre meno luccicante  con l’anima cieca di chi pensa che l’egoismo lo salverà.