giovedì 23 giugno 2011

riprendiamoci il tempo


tanti anni fa, in un piccolo negozio che ora non c'è più ricordo d'aver comprato un album, un Long Playing - si chiamavano così allora -di Willie Dixon, uno dei miei primi dischi di blues. Mi avvicino alla cassa per pagare. Un uomo che probabilmente ha notato il mio acquisto si congratula con me per la scelta musicale, davvero buona dice ma poi aggiunge: " a condizione che quel disco lei lo ascolti, in religioso silenzio seduto sul divano davanti allo stereo".
Allora la cosa mi fece sorridere... oggi un po' meno perché nonostante la musica sia praticamente ovunque e faccia da colonna sonora continua alle nostre vite, nei supermercati, nelle stazioni, nei parcheggi sotterranei, ecc. ecc. abbiamo quasi completamente perso l'abitudine all'ascolto, perché, siamo sinceri, per ascoltare ci vuole tempo e noi il nostro tempo ce lo siamo venduto da un pezzo

giovedì 9 giugno 2011

mercoledì 25 maggio 2011

dieci domande a casaccio

1-avere come punto di ritrovo un centro commerciale è progresso?
2-camminare in mezzo alle auto e respirare merda è progresso?
3-guardare il proprio simile con diffidenza e averne timore è progresso?
4-aver perso la curiosità per la bellezza, l'arte, la natura, l'uomo è progresso?
5-sprecare cibo, acqua, energia mentre molti sul pianeta non ne hanno neppure a sufficienza per vivere è progresso?
6-la medicina finalizzata a produrre antidoti per contrastare i veleni che ingeriamo, respiriamo ogni giorno è progresso?
7 pagare un affitto quasi quanto uno stipendio è progresso?
8- lavorare tanto, con sempre meno diritti e soprattutto in pochi è progresso?
9- aver scelto la quantità rispetto alla qualità del vivere è progresso
10-star qua seduto al computer a scrivere cazzate è progresso?

questo è il racconto con cui ho partecipato



DISEREDATI

Manuel schivò il barbone all’angolo di via Marconi e svoltò per via Indipendenza. Non guardò i fighetti davanti al bar e le ragazze in minigonna con gli stivali a mezzacoscia, non guardò nulla e s’infilò nel portone del numero tre. Quell’idiota di Francesco lasciava sempre aperto, doveva dirglielo di usare più cautela.

Sebbene nella sua mente volteggiassero ben altri pensieri, pignolo com'era, questa tipica disattenzione di F. gli procurò un lieve fastidio. "eppure dovrebbe aver capito come si chiude questo cazzo di porta" se non la si accompagnava fino in fondo e non si faceva una lieve pressione quella rimbalzava e si riapriva. Ma F. era così e a certe cose proprio non faceva caso. La sua mente era in continuo movimento ed elaborava progetti con una facilità ed una determinazione davvero sorprendenti; non poteva certo sprecare il suo prezioso tempo preoccupandosi di vecchi e difettosi portoni. Manuel liberò un sorriso. Lo immaginò mentre sbatteva dietro di se il vecchio portale e con grandi falcate si divorava la rampa di scala prima che questi sbattesse contro lo stipite, oramai aureolato da innumerevoli piccole crepe impresse nel muro
"Già, poi chi lo sente il proprietario" disse M. a voce alta
"Ogni volta che viene per l'affitto scansiona tutto l'edificio per scovare qualche magagna, sembra uno della "scientifica”
Mentre questi pensieri sonori fuoriuscivano in libertà giunse davanti all’ingresso del loro piccolo bilocale e dopo aver raddrizzato con un piede lo zerbino entrò. Gettò rumorosamente le chiavi nel cestello per attirare l'attenzione di F. ma lui non sentì. Era in piedi davanti ai fornelli, con le cuffie alle orecchie, intento a preparare uno dei suoi soliti piatti esotici. M. non poté fare a meno di notare la sua invidiabile prestanza fisica dato che, sia che fosse estate o inverno, in casa se ne stava torso nudo. "Altro che regia, l'attore dovresti fare, con quel fisico" lo sfotteva sapendo di farlo irritare. F. detestava persino farsi fotografare. Gli si avvicinò e con aria di finta riprovazione alzò la voce "allora idiota, l'hai lasciata aperta anche stavolta" il tono era così alto che questa volta F. nonostante il volume della musica non poté non sentire; fece scivolare con la mano libera la cuffia senza fili che continuò a gracidare all'altezza del collo e girando la testa rispose sorridendo "ah, sei tu pendejo, cos’hai da sbraitare come un cervo in amore?" Insultarsi amorevolmente era per loro un vero divertimento. "se ci fregano un’altra bici poi come ci muoviamo in questa cavolo di città?” rispose M. Queste parole lo riportarono bruscamente alla realtà e l’accenno di sorriso che aveva fino ad un istante prima scomparve del tutto. F. intuendo il perché di quel cambiamento umorale domandò a sua volta “allora com’è andato l'incontro?” M. si limitò a scrollare le spalle e si girò verso la finestra “ma cosa ti aspettavi” continuò F. “pensavi davvero che le cose potessero andare diversamente? Non credo, visto che hai accettato quel lavoro in quella scuola ad Istanbul ”
“Sì, sì, hai ragione Francesco ma è che questa volta avevo sperato in qualcosa di più delle solite parole vuote di circostanza" e con voce nasale imitando la voce del responsabile delle attività culturali “lei è un bravissimo musicista, la teniamo d'occhio, è il primo della lista, abbiamo per lei dei progetti ma deve avere pazienza, sa i tagli alla cultura, la crisi…” “ma vaffan…” Sul fuoco intanto il sugo sfrigolava. F. si girò e aggiunse un goccio d’acqua tiepida all’intingolo “pazienza” riprese M. “ma se è un anno che ci siamo trasferiti nella capitale dietro false lusinghe e consigli di quella specie di agente che finge di darsi da fare…se cercate delle opportunità dovete venire a Roma, è qua che si muove e nasce tutto…ma vaf… anche all'agente” F. intanto mise un panno sopra la pentola del riso. “Ma sì, meglio così siamo giovani no, ne abbiamo di tempo” continuò M. quasi dovesse convincersene “avrei dovuto darti retta e prenotare quei voli un mese fa quando il prezzo era conveniente, acc…”
“vieni qua un attimo” lo interruppe F. porgendogli il cucchiaio di legno “attento che non si attacchi” e sparì in camera.
Ritornò un istante dopo con il computer “guarda coglione”
Sul portatile erano visibili due prenotazioni aeree per la città sul bosforo…di sola andata…partenza fra due giorni
F. come al solito aveva giocato d’anticipo.
M. spalancò la bocca ma non ne uscì alcun suono.
Cosa avrebbe potuto dire d’altra parte? Ci avevano provato. Erano arrivati dalla provincia certo con qualche aspettativa ma illusioni no, quelle no.
Da tempo avevano capito che il loro paese li aveva abbandonati come cani in autostrada, così come avevano capito che non rientravano nei progetti di una classe dirigente gretta, ignorante e violenta che faceva finta che loro non esistessero, derubandoli così del futuro. E già! la madre patria si era rivelata una genitrice alquanto snaturata. Certo il tempo giocava a loro favore ma fino a quando? Intanto la vita scorreva via veloce, troppo veloce per rischiare di sprecarne anche una sola goccia, amara o dolce che fosse.
Da tempo avevano rimosso gli steccati mentali che portano gli uomini a circoscrivere un luogo rispetto ad un altro; ora si trattava solo di mettere in pratica quello che avevano sempre desiderato: muoversi nel mondo
Qualcuno sicuramente avrebbe definito la loro semplicemente una fuga ma si è mai chiesto quel qualcuno di quanto coraggio serva per fuggire?
“Tutto bene Manuel?” chiese improvvisamente F.
Il tono asciutto sincero della sua voce riportò M. alla realtà e il tempo che per alcuni istanti pareva come sospeso riprese il suo corso
“ in fondo era quello che volevi, no? Continuò appoggiando il computer sul tavolo “essere utile a qualcuno. Beh! Ad Istanbul ci sono decine di giovani studenti che ti aspettano ed io mi arrangerò, il materiale da filmare non credo mancherà”
I due, ora si trovavano uno di fronte all’altro. Si guardavano in silenzio e sorridevano. Una strana euforia li stava pervadendo.
Manuel guardava negli occhi del suo giovane fratello e ne condivideva la lucentezza. Vi si rispecchiava. Erano occhi grandi, profondi, belli come lo sono gli occhi di chi ancora sa sognare, di chi ancora non ha smesso di farlo

“E spegni quel fornello cabròn, non vedi che è pronto?!”








giovedì 5 maggio 2011

più incipit per tutti

sto partecipando, in forma anonima per il momento, ad un gioco letterario indetto dall'amica Morena Fanti... se vi va date un'occhiata

lunedì 21 marzo 2011

c'era una volta una favola senza finale e ancora c'è

c'era una volta una favola senza finale che ancora il finale non ha.
Ma visto che chi ha iniziato a scriverla non si da pace, anche perché tanto ma tanto tempo fa l'aveva promessa a delle care amiche ( Morena, Cristina) abbiamo deciso (lui ed io) di pubblicarla ugualmente, convinti che qualcosa sicuramente accadrà.... speriamo, altrimenti saremo costretti ad inserire questo piccolo testo nella "stanza dei racconti incompiuti"

p.s. il testo potrà subire modifiche durante la stesura (ogni parte aggiunta avrà un colore diverso)


favola

"guarda che se non mangi tutta la minestra viene l'uomo nero"
"dormi subito perché altrimenti arriva il bubu"
"se non fai il bravo l'orco gigante ti porta nella sua grotta"
"non ti allontanare troppo altrimenti il lupo cattivo..."
"guarda che se il poliziotto vede che non mi dai la manina, ti chiude in galera"
e quella volta in treno: " guarda arriva il controllore, stai seduto composto altrimenti ti buca l'orecchio con la pinza..!"
Queste ed altre assurde frasi ritornavano alla mente di S.
I suoi genitori le usavano oramai come una specie di intercalare, le infilavano così, senza nemmeno accorgersene, anche quando non ce n'era alcun bisogno, sempre ammesso che queste parole assurde servissero davvero a qualcosa oltre a rendere S. sempre più insicuro e timoroso.
Non lo facevano per cattiveria ma semplicemente perché erano convinti che fosse un modo efficace e sbrigativo per farsi ubbidire; sicuramente il meno faticoso dato che non li costringeva a prendersi l'impegno di star lì a spiegare e a motivare ogni loro richiesta.
S. ne era oramai terrorizzato.
Era giunto al punto di temere di sbagliare ogni cosa si accingesse a fare perciò oramai si limitava solamente ad eseguire quello che gli veniva ordinato come un piccolo e obbediente robot alquanto spaventato.

Passava le giornate quasi sempre chiuso in casa e non aveva neppure più il coraggio di uscire nel cortile davanti alla sua abitazione. Vedeva oramai mostri dappertutto, dietro ogni angolo, ogni albero. Era sufficiente un colpo di vento ad alzare le foglie e subito pensava alla presenza di spiriti, naturalmente cattivi. Non parliamo poi di quando era ora di andare a letto. Ogni sera era davvero un dramma ritrovarsi nella sua piccola camera solo e al buio. Era riuscito dopo pianti e lamenti continui ad ottenere il permesso di addormentarsi con la luce del comodino accesa così da poter controllare l'intera stanza e poi, nel caso dovesse prontamente dare l'allarme, teneva sotto il cuscino un piccolo campanello. Solo la testa sbucava fuori dalle lenzuola, anche in piena estate non aveva il coraggio di tenere i piedini fuori. Gli pareva di essere più vulnerabile, indifeso con le estremità scoperte.
Fece così anche quella notte ma visto che si sentiva particolarmente coraggioso decise di provare a spegnere la luce. Prima però controllò che ogni cosa fosse al suo posto e poi si mise sotto le lenzuola coprendosi tutto, anche la testa (coraggioso va bene ma incosciente del tutto proprio no!). Dopo alcuni minuti, però, sentendosi soffocare la tirò fuori con molta circospezione, piano piano; pareva la testa della tartaruga che se ne esce dal carapace, dal guscio dopo un piccolo spavento… ci mette sempre un po' a tirar fuori la testa, sapete.
Anche i genitori erano andati a letto.
La casa era immersa nel silenzio.
Il buio non era mai stato così denso e nero, nero come il catrame, nero come il nero di seppia, nero come la liquirizia, nero come... insomma non si vedeva praticamente un tubo, niente di niente.
Qualcuno doveva aver incappucciato la luna, che fino a poco prima sbirciava dalla finestra.
Anche quella notte come tutte le notti si sentivano quei rumori che di giorno non si riuscivano a percepire perché venivano sovrastati, coperti da altri più prepotenti, come quelli delle auto, dei clacson delle auto delle frenate delle auto, delle urla di chi guida le auto, dei tamponamenti dell… insomma avete capito, no?
"questi sono rumori notturni, di giorno si riposano" pensò poeticamente S.
Un tempo era spaventato da tutti quei suoni ma ora gli tenevano compagnia fino a quando non prendeva sonno.
Provò ad ascoltarli uno ad uno: Il ticchettio dei tarli mentre banchettano, l'acqua che scorre nelle tubature, gorgogliando (glo, sglu sdruop, teuteu …),i topolini e gli uccelli che zampettano sulle tegole, il tic tac della sveglia nel corridoio, la sedia che qualcuno sposta nella camera
"...!!!???"

"LA SEDIA CHE QUALCUNO SPOSTA NELLA CAMERA!!"


Fece un urlo muto nel senso che non emise alcun suono. A volte capita, sapete, se si vuol urlare troppo forte, il grido ti rimane in gola.
Afferrò l’orlo del lenzuolo e si coprì il volto e se ne stette lì, immobile ad ascoltare il silenzio, irrigidito dalla paura.
Sentiva solamente il battito del suo cuore che gli rimbombava nel petto, tum tum tum.
Forse si era sbagliato - pensò - forse era stata solamente la sua immaginazione, forse...
"scuscia, S. puoi fenire fuori da lì sciotto?"
Altro che immaginazione, quella voce per quanto buffa era più vera che mai!
S. non si mosse e smise anche di respirare
"siu dai, non affere paiura" disse con molta tenerezza la voce
S. ingoiò l’ultima goccia di saliva che gli era rimasta in bocca e si fece coraggio; lentamente abbassò il lenzuolo e balbettando chiese:
“ chi, chi sei? Cosa fai nella mia camera?”
“avanti diglielo” disse una voce più energica che proveniva alla sua destra , vicino alla finestra che stranamente continuava a non fare entrare nessuna luce, neppure quella dei lampioni.
“sciono il Bubu" rispose frettolosamente la voce di prima, quella che pareva provenire dall'angolo dove c'era la scrivania
“ ma quanti, ‘uanti siete? Riuscì a dire S.?
“ siamo in quattro, aspetta che accendo la luce” queste parole gli giunsero da sotto il letto
“no, non accende…”
troppo tardi, si sentì il click dell’interruttore e nella camera fu improvvisamente giorno.
S. chiuse istintivamente gli occhi e li tenne così serrati, che gli fecero male.
“ Dai, apri gli occhi S. non siamo mica cattivi” fece una quarta voce, molto bassa proveniente dall’angolo opposto della camera
La voce era calma e rassicurante, molto più della precedente e nonostante la paura che lo attanagliava -ne aveva tanta, dappertutto- si fece coraggio e dopo aver fatto un bel respiro di colpo guardò e vide. Cioè, non vide proprio subito, sapete gli occhi ci mettono sempre un po’ di tempo ad abituarsi ai nuovi cambiamenti, che si passi dalla luce al buio che dal buio alla luce; infatti, solo dopo alcuni secondi riuscì finalmente a dare un volto a quelle voci.

Nell’angolo della stanza, vicino alla scrivania la sedia era stata spostata e sopra vi era seduto un essere enorme, tondo e così peloso da averla completamente fatta sparire sotto di lui. Era davvero buffo e di un colore mai visto - almeno S. non lo conosceva- , grigio ma anche viola e forse anche un po’ color cacca di piccione. Gli occhioni si intravedevano a malapena ma parevano buoni e sorridenti.

“Ciao, sciono il Bubu - disse gentilmente l'essere sconosciuto- scienza accento sulle u, però”

“ciao” disse timidamente S.

“ e io sono l’uomo nero”

Ecco perché nessun chiarore penetrava nella stanza, l’uomo nero con il suo corpo più nero del nero della caverna, più nero del fondo di un pozzo, più nero di una notte senza stelle, più ne…insomma avete capito, no? copriva interamente il rettangolo della finestra

S. fece solo un cenno con la testa in segno di risposta

L’essere dalla voce bassa e tranquilla era gigantesco, alto fino almeno fino al soffitto.

“Ciao S. io sarei quello che tutti chiamano Orco”

A S. parve un enorme e saggio gnomo dalla folta barba rossa.

Non ne aveva mai visto uno vero con i suoi occhi, ma con quelli dell’immaginazione sì: era sicuro che quello davanti a lui con quel grandissimo cappello a forma di cono con la punta afflosciata in mano fosse proprio un enorme gnomo

“Ciao Orco” rispose S. questa volta con maggior disinvoltura

Mancava il quarto, quello che si era nascosto sotto il letto.

Ci fu un attimo di imbarazzo e di silenzio. S. nonostante fosse oramai rassicurato dall’atteggiamento bonario dei suoi nuovi conoscenti non si sentiva ancora del tutto sicuro e quella presenza sotto di lui lo inquietava non poco..

“ insomma vuoi venir fuori da li sotto?” disse l’uomo nero con voce decisa

“non vedi che il bambino sta sulle spine, è preoccupato”

“vengo , vengo” disse una voce che più cavernosa di così non si era mai sentita prima

“ volevo solo aspettare che mi presentaste, sapete l’effetto che faccio la prima volta che mi si vede; d’altra parte con tutte le balle, mmm...- scusate- bugie che raccontano in giro sul mio conto c’è poco da fare : Certo sono un lupo ma non credo di essere più cattivo di qualsiasi altra specie animale a due o quattro zampe… dipende dal carattere ed io se ho mangiato a dovere sono il più affabile dei buontemponi”.....


...“allora esco, d’accordo, S. mi raccomando non spaventarti e non lasciarti ingannare dalle apparenze” il letto si mosse di almeno un metro e la prima cosa che sbuco fuori da sotto fu una zampa pelosa con delle unghie piuttosto lunghe ...

“ aspetta” quasi gridò S. “ha.. hai già mangiato?”

“ ah! ah! ah!” rise l’essere “ certo ho appena fatto uno spuntino poco prima a base di succo di mirtillo e crocchette di patate e spinaci… ora sono vegetariano, sai, da quando l’uomo ha incasinato, ops scusami per mille pecore, ha rovesciato l’equilibrio naturale di gran parte della terra ho cambiato abitudini alimentari e ti dirò non mi dispiace per niente anche se mi mancano gli appostamenti per cercare di catturare qualche preda e le corse dietro ad una lepre o a qualche furbo topo. Ora ogni tanto faccio qualche sgambata assieme a Checco lo stambecco e a Manolo il capriolo, anche se ultimamente corro soprattutto con Gedeone il muflone, così per mantenermi in forma e non perdere il vizio… ok, eccomi

fu un attimo e davanti agli occhi spalancati di S. si presentò un bellissimo esemplare di lupo dell’appennino che nonostante le premesse, inquietava un poco ma fu solo per un breve istante perché il canide (è il nome della sua famiglia) con una mimica davvero improbabile improvvisò un mezzo sorriso così strambo che fece ridere sguaiatamente praticamente tutti, S. compreso, sapete il riso è contagioso.

“shhhhh!” fece l’uomo nero, volete svegliare tutta la casa? Facciamo piano…Certo sarebbe divertente; vi immaginate la faccia dei genitori se ci vedessero tutti e quattro qua dopo averci utilizzati per anni da spaventapasseri senza chiedere il permesso a nessuno. Glielo farei vedere io l’uomo nero…quasi quasi vado di là e…”

“fermati” disse l’orco “ non siamo qui per questo e poi non capirebbero, con loro non c’è più niente da fare, oramai”

“ ha ragione Cicino” disse il lupo, succede raramente ma questa volta, una cosa giusta l’ha detta”

l’orco si girò di scatto, non sopportava che lo chiamassero con quel nome assurdo – vista la sua stazza- ma si limitò a maltrattare il cappello tra le enormi mani e dopo un breve respiro continuò rivolgendosi ora al bambino




domenica 20 marzo 2011

Vorrei

vorrei essere pietra di fiume
dura, impermeabile
levigata dallo scorrere rapido dell'acqua
smussata da ogni asperità

sabato 22 gennaio 2011

un regalo di Vincenzo

Sensazioni

Nella gelida sera
un velo rugginoso
sbiadisce all'orizzonte
il purpureo cielo
... Cammino pensoso sul porto
fra le voci e i rumori
di questo nuovo anno
così, speranzosamente, giovane
già, irrimediabilmente, vecchio
... stanco barcone all'ormeggio!

Vicenzo Giorgetti 2011