mercoledì 4 marzo 2009

realitaly sciov

Chi l'ha detto che la vita di un uomo non possa cambiare da così a così in un semplice battito di ciglia?
Prendiamo ad esempio Giovanni Pestalocchi detto il sega - il motivo di tale soprannome ve lo lascio immaginare, l'unico indizio che vi posso dare è che non faceva né il boscaiolo né il falegname - un uomo quasi invisibile, tanta era la poco considerazione che gli altri frequentatori del bar " piccola Italia " gli riservavano.
Se ne stava per la maggior parte del tempo seduto al bancone con un'inseparabile bottiglia di birra di pessima qualità, come unica compagna. Lo sguardo perso e la bocca leggermente spalancata sui denti ingialliti dal fumo, gli conferivano un aspetto del tutto sgradevole, e i suoi vestiti logori spesso impataccati, erano la ciliegina su una torta venuta davvero male. Passava gran parte delle sue giornate a bere ed a assecondare in discussioni completamente inutili e stupide, ora questo, ora quello -annuendo per lo più - con la speranza di accaparrarsi qualche briciola di attenzione dallo stronzo di turno, che a volte, forse per compassione, oppure semplicemente perché non sapeva come far notte, gli rivolgeva la parola: " allora sega, come va? guarda che pestoni hai sotto gli occhi, ci dai di mancina, eh? brutto porco!
"secondo me usa tutte e due le mani" faceva eco una voce in fondo al locale.
E giù risate.
Giovanni Pestalocchi fingeva indignazione alzando l'indice della mano sinistra in una direzione a caso, e fanculava tutti, ma era solo per far scena, perché era comunque grato di quell'attimo di considerazione, di quel istante di popolarità altrimenti così raro.
In quel bar gli avventori erano di varia estrazione sociale, operai, liberi professionisti e piccoli imprenditori locali; bevevano tranquillamente assieme senza alcun problema. Una volta varcata la porta del bar, i conflitti di classe scomparivano del tutto, dato che le cose che avevano in comune erano davvero tante: erano tutti tifosi della medesima squadra di calcio, maschiacci virili con un pizzico di misoginia, razzisti quanto basta e per non farsi mancare niente condivano il tutto con forti convinzioni fasciste. Brava gente insomma, camicie nere con cravatta verde... alla page. Sembravano l'immagine stereotipata di un modello ben delineato di pezzo di merda, ma purtroppo non erano frutto di fantasia, erano veri e indubbiamente contemporanei. Appartenevano a quella categoria di persone che per emergere nella vita non ha certo bisogno di studiare, di lavorare onestamente, di rispettare le regole... "quelle sono per gli idioti" dicevano. Era gente orgogliosa della propria ignoranza che si vantava continuamente di non aver mai letto neppure un libro "c'abbiamo mica tempo da perdere, noi, qua si produce, cazzo!" sostenevano a gran voce. Erano fermamente convinti che la grandezza di un uomo si misurasse soprattutto dai soldi che gli uscivano dalle tasche e dalle dimensioni della sua automobile; da adolescenti era la lunghezza del pene, motivo di prestigio, ora sostituita dalla cilindrata del fuoristrada, ambedue ritenuti comunque indispensabili per raggiungere lo stesso obiettivo. Oltre alle varie discussioni sul calcio, sulle due e quattro ruote, sulla pura razza italica in pericolo a causa delle sempre più probabili invasioni barbariche, a tener banco era soprattutto il ssèsssso, con 6 esse e l'accento sulla e.
Il vantarsi delle proprie conquiste femminili era ancora il motivo principale di ogni discussione. Naturalmente c'erano i guru del sesso, quelli che venivano considerati come dei veri e propri miti. Questi mica sparavano cazzate, tiravano fuori i telefoni cellulari e mostravano a tutti l'ultimo sms dell'amante di turno; il tono di tale missiva era piuttosto incandescente e non mancava mai di suscitare, bave e pruriti inguinali, ai maschietti in calore che gravitavano loro attorno come un'aureola di mosconi. Qualche malizioso avanzava il sospetto che erano loro stessi, ad inviarsi tramite un secondo telefono, questi lascivi messaggini, ma veniva prontamente azzittito con l'accusa di far esercizio di dietrologia ( non credo fossero proprio queste le parole esatte) o semplicemente di essere rosi dall'invidia. In realtà questi subumani profeti dell'eros, questi maestri dell'eloquenza amorosa erano dei veri mistificatori. Ogni frase che pronunciavano, ogni battuta utilizzata nella loro attività mandrillesca, non erano quasi mai frutto della loro creatività, del loro ingegno, ma venivano estrapolate da alcuni manuali, senza i quali non avrebbero saputo aprire bocca, neppure per chiedere "da accendere" alla più ingenua delle ragazze. Questi vademecum erano praticamente delle piccole garzantine molto utili per cavarsela in ogni situazione. Ecco alcuni titoli: "1000 frasi per ogni circostanza, 1000 sms d'amore per fare impazzire la tua donna, 100 modi per lasciare la tua amante e uscirne a testa alta, le 100 scuse più efficaci se vieni colto in flagrante da tua moglie" e così via.
Questi e altri ameni trastulli, erano il pane quotidiano nel caffè "piccola Italia" e coinvolgevano tutti, tranne il nostro Giovanni Pestalocchi, considerato poco più di un soprammobile. Ci si accorgeva della sua non-presenza solamente quando la noia soffocava e non c'erano alternative; allora via con qualche scappellotto e qualche battuta di dubbio gusto. Soltanto in quelle rare occasioni Giovanni diventava visibile e soprattutto aveva la sensazione di esistere.
Ma poi accadde...
Un tardo pomeriggio non diverso dal solito, entrò nel locale un ragazzo di carnagione scura, probabilmente un nord africano.
Chiese un bicchiere d'acqua e si sedette al banco proprio accanto a Giovanni ancora intento a riflettere - si fa per dire - sulle ultime prese per il culo da parte dei cari compagni; naturalmente tracannava la sua immancabile birra fon furst. Il ragazzo finito di bere si alzò di scatto e inavvertitamente urtò il gomito dell'uomo invisibile che per la prima volta nella sua vita ebbe una reazione del tutto inaspettata, per uno come lui considerato poco più di un'ameba. Ma come molti sanno, anche l'essere più mite può improvvisamente esplodere. Giovanni era stato urtato da qualcuno che nella scala gerarchica del bar, veniva considerato inferiore persino a lui; in quel microcosmo di intolleranza e di machismo solamente uno straniero, un "estracomunitario" - così lo chiamavano - poteva essere giudicato subalterno a uno come lui.
Come si era permesso quel "lurido clandestino" - così urlava - ad offenderlo in quel modo!
Naturalmente tutti si voltarono increduli, alle grida inferocite del nostro eroe che nel frattempo era sceso giù dallo sgabello e con estrema ferocia indicava con un gesto eloquente la porta a quel povero tunisino che invano cercava di scusarsi. Nell'impeto Giovanni inciampò, cosa che lo fece imbestialire ancora di più, così agguantò il ragazzo per un braccio e lo scaraventò fuori dal locale in malo modo.
Nel bar gli sguardi erano attoniti e regnava il silenzio.
Ma dopo qualche secondo quell'atmosfera surreale fu rotta da risa, urla di incitamento, pacche sulle spalle e parole, per le prima volta, non atte a deridere ma al contrario a testimoniare profonda stima e solidarietà.
Da quel giorno per Giovanni tutto cambiò.
Diventò parte di un qualcosa, di un mondo dove fino a poco prima gli era stato impedito di entrare.
La sua auto-stima crebbe, cominciò ad avere cura della sua persona e trovò addirittura lavoro nella fabbrichetta di uno degli avventori.
Oramai la svolta era avvenuta. Giovanni faceva parte del gruppo.
Ma la completa accettazione doveva ancora arrivare; giunse alcuni giorni dopo con l'esplicita richiesta del suo datore di lavoro di far parte di una di quelle " ronde" che da qualche mese operavano in città a difesa degli onesti cittadini, in ausilio alle forze dell'ordine sempre più mortificate, sempre meno in grado di garantire sia la forza che l'ordine.
Sempre meno capaci di garantire la sicurezza, "di proteggere le nostre donne, le nostre figlie da quei lerci individui che essendo di cultura diversa dalla nostra, sono delle vere bestie e non sanno cosa vuol dire rispettare le femmine " - così sbraitavano i degni rappresentanti di una società aperta ed emancipata quale è la nostra...
Giovanni non poteva credere alle proprie orecchie. La sua vita era davvero cambiata. Da parassita a membro - addirittura - di una ronda, a tutore della legge; non era incredibile tutto questo? Se di giorno, fra padrone e dipendente sussistevano ancora differenze gerarchiche, la sera si annullavano del tutto; con il loro giubbotti fluorescenti erano del tutto uguali senza alcuna distinzione di classe, camminavano sicuri e fieri uno a fianco all'altro.
Fino a quella notte.
Stavano rientrando dal loro giro, stanchi ma felici, anche un po'" bevuti" a dire il vero; Giovanni aveva comperato una bottiglia di rum e l'avevano divisa equamente, da buoni camerati.
Si stavano avvicinando a "vicolo degli inganni" quando all'improvviso si sentì un grido di donna piuttosto ben distinto.
Non doveva provenire da molto lontano perciò accelerarono il passo, girato l'angolo videro due figure: una più alta, probabilmente di un uomo e pochi metri più avanti una più bassa che correva e urlava come una pazza.
Intimarono all'uomo di fermarsi ma quello si limitò a girarsi.
Probabilmente spaventato dall'accorrere di quelle persone, decise malauguratamente di scappare ed inciampò nel marciapiede.
Successe tutto in un attimo.
La nostra ronda, armata di lunghe torce piombò sul malcapitato e intraviste le sembianze dell'individuo, barba lunga e scura tipica del nemico per eccellenza, non stette a fare ragionamenti astrusi e non si prese la briga di fare alcuna domanda a quella persona verosimilmente colpevole - perché chi scappa non può essere che colpevole -, si limitò a fare una semplice somma, uno più uno, e cominciò a sferrare colpi all'impazzata; Giovanni colpì l'uomo alla nuca, non con l'intento di uccidere, voleva soltanto fargli male, molto male, ma non avendo effettuato studi di anatomia non poteva sapere di aver colpito un punto vitale, quando vide il malcapitato accasciarsi al suolo.
Il presunto aggressore giaceva a terra, immobile con il volto schiacciato sul selciato.
Lo rigirarono bruscamente intimandogli di far vedere la sua brutta faccia ma non ebbero alcuna risposta... quello che invece videro fu il volto, illuminato dal lampione, di Paolino, un poveraccio innocuo che abitava nel quartiere, trasfigurato dalla paura e dalla morte che ora li trapassava con la fissità dello suo sguardo. Nella mano destra teneva ancora il guanto che aveva raccolto per strada e che voleva gentilmente riconsegnare alla donna che camminava frettolosamente perché spaventata sia dal suo incedere di vagabondo che da mesi di campagna mediatica incentrata sulla paura.
Si sentirono in lontananza le sirene della polizia. Giovanni era rimasto solo.
La torcia pendeva dalla sua mano come una protesi: all'estremità scendeva una piccola goccia di sangue.
I fumi dell'alcol erano del tutto svaniti ma questo non migliorava di certo la situazione.
" E' stato un errore" disse a bassa voce " un errore umano"

Chi l'ha detto che la vita di un uomo non possa cambiare da così a così in un batter d'occhio?
Prendiamo ad esempio Giovanni Pestalocchi.


stefano

18 commenti:

Anonimo ha detto...

senza speranza.
ci stiamo rovinando con le nostre mani. e anche con quelle del Pestalocchi.
ottimo lavoro, Stefano.
linguaggio duro e storia ancora peggio (il che significa meglio, intesa come scrittura)

Anonimo ha detto...

... Allora donne prendetevi uomini con la Smart ... magari sarete fortunate!

A parte la battuta, che può sembrare fuori luogo dopo un racconto del genere,
hai raccontato (bene) una situazione che purtroppo potrebbe rivelarsi fin troppo veritiera.
Mah ...
E le stelle (o gli stronzi) stanno a guardare!!!

C

Anonimo ha detto...

bel racconto,anche se... amaro. (e' la realtà,baby?).
Cristella

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

grazie morena, anonimo c e cristina, so di essere stato particolarmente duro ma il tema lo richiedeva... sono sempre più convinto che non ci si possa sostituire a chi di mestiere deve garantire il più possibile la sicurezza dei cittadini e se questo non avviene la responsabilità è soprattutto dei legislatori...
ma secondo voi chi vuole costituire o far parte di una "ronda"lo fa per puro altruismo oppure perché spinto da altri e ben diversi(opposti) motivi?
voi vorreste mai fare parte di una squadra del genere?
p.s. le persone da me descritte nel racconto probabilmente suonano false, esagerate ma credetemi, alcune caratteristiche sono molto più reali di quello che si possa immaginare.
Non sono sempre così pessimista ma credo sia meglio tenere gli occhi ben aperti... anche se a quest'ora è meglio di no :-)
buonanotte
stefano

Anonimo ha detto...

io non vorrei far parte di una squadra del genere.

quando si scrive un racconto si esasperano alcuni tratti delle persone/personaggi descritti, ma ricordiamoci che a volte la realtà è ancora peggio

buona giornata, stefano

wilcoyote ha detto...

Concordo: i personaggi non sono affatto irreali. Anzi.

Un bel racconto. Inizia con un tono umoristico un po' alla Benni, ma poi la tua passione (per l'umanità, per la giustizia... insomma, capito, no?) ti prende la mano e la storia assume i registri dell'ironia e del sarcasmo, fino a diventare tragedia.
E pure una spietata analisi sociologica.

Stefano Santarsiere ha detto...

Caro omonimo, il tuo racconto è duro, nel tema e nella storia, nonostante una certa ironia nelle descrizioni che però ne accentua verosimiglianza e significato.
La situazione descritta traccia una parabola purtroppo possibile, veritiera. E questo rende tutto più angoscioso.
Infatti, leggendo mi sono detto: 'cavolo, è proprio così che va... e che andrà'. Credo che la prosperosa ed eroica italica provincia stia per inciampare nel più grande tranello che la Storia poteva giocare a un paese di picari tuttofare come il nostro: la convinzione di essere migliori degli altri.
E così, con l'imbarbarimento reazionario, andrà a farsi benedire l'unico vero pregio che avevamo: l'indulgente, bonaria umanità che deriva dall'essere stati a nostra volta straccioni.

Un abbraccio.

Stefano.

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

un saluto a Stefano e a mario (amo moltissimo benni)... grazie per le belle parole e soprattutto per la visita.
Fa sempre piacere sapere di essere in buona compagnia :-)
stefano

lanoisette ha detto...

un racconto duro e vero. potrei scendere al bar all'angolo e trovare Pestalocchi.

Anonimo ha detto...

Sì, è un bel racconto. Complimenti Stefano, uno spaccato molto veritiero dell'italia di oggi (e di sempre): deboli con i forti e forti con i deboli, sembra proprio il motto di questo popolo di poeti, santi e navigatori. Quanti Pestalocchi ci sono nei nostri bar. Qualcuno però prima o poi finisce (seguendo il motto) invece che tragicamente in una ronda anche a sedersi in un consiglio comunale, o perfino in parlamento. Il che è ugualmente tragico. Che bello se qualcuno riconoscendolo gli dicesse ad alta voce: -toh, guarda dov'è finito il sega-
Carloesse

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

ciao lanoisette, visto che tu non sei su FB ti scrivo l'indirizzo dove trovare uno splendido brano musicale che ho voluto dedicare alle mie amiche di scrittura : http://www.facebook.com/ext/share.php?sid=58900275142&h=b5g8k&u=v5Ii-

buon 8 marzo!

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

carlo s. hai ragione da vendere!
ne incontro tutti i giorni, sul lavoro, nei bar, nei supermercati...
una mia collega giovane un giorno mi ha detto: trovo incredibile come oggi sia così naturale esternare le proprie intolleranze senza temere alcun rimprovero, come se si fosse certi di esprimere pensieri condivisi dai più!
Purtroppo è proprio così.

Cosa possiamo e dobbiamo fare perché le cose cambino?
dove ci porterà tutto questo?
Io dico sempre: "facciamo del nostro meglio" non so se sarà sufficiente ma almeno proviamoci.

ciao carlo, le tue visite e le tue parole sono sempre molto gradite.

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

lanoisette, scusami ho sbagliato indirizzo, quello giusto è: http://www.youtube.com/watch?v=qCwME6Jpn3s
ciao

milvia ha detto...

Che racconto, Stefano! Scritto talmente bene che è come se stessi guardando un film, mentre lo leggevo. O come se fossi in un angolo di quel bar (che nome azzeccato "Piccola Italia"...). Hai raccontato la realtà, e i tuoi personaggi, purtroppo, non sono affatto descritti in maniera esagerata. Putroppo di gente così ne esiste davvero, e tanta, e sono convinta che ce ne sarà sempre di più. Proprio questa sera ho sentito il desiderio di tirare un ceffone a una signora (io che odio la violenza) perchè continuava a dire che aveva paura di andare per le strade del centro di Bologna da sola alla sera, perchè quelli là, i drogati, gli albanesi e i romeni violentano tutte le donne. Drogati, albanesi, romeni... Ha incamerato le paure costruite ad hoc dai media e da chi li comanda degli ultimi vent'anni!!! E le ha tutte lì, nella sua testa non pensante. Se non fosse tragico, ci sarebbe da ridere... Ho cercato di dirle che non è proprio così, ma continuava a ripetere le stesse frasi, come se fossi io che non capivo... Allora, prima di perdere il controllo, l'ho lasciata lì, con le sue paure e la sua ignoranza.
Beh, ti rinnovo i complimenti per il racconto, Stefano. E buon inizio settimana.

Milvia

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

ciao milvia
purtroppo ci attendono tempi difficili
sia dal punto economico ma ancor di più, sociale.

stefano

Francesco Di Domenico Didò ha detto...

...eh, ce ne ha messo del tempo Didò per venirti a leggere e quello perso è stato veramente tempo perso.
Arrivo ultimo a dirti ch'è un bel racconto, ma non m'interessa la storia, no. Non m'interessa il finale, no. E' il corpo del brano che è sugoso. Chi è stato che ha detto che le fosse sembrato un film? Vero. Perchè la narrazione e come un risotto mantecato delle vostre parti, ha sostanza e resta in bocca.
Puoi spiccare il salto, allunga 'sti pensieri, supera la soglia fatidica delle 100 pagine, è l'unica barriera che ti separa dall'essere uno scrittore; puoi dipingere con due strumenti, pennello e biro.
Complimenti.

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

cavolo francesco, che bel complimento, generoso da parte tua, ma gradito davvero tanto.
Sei un caro amico e le tue parole sono certamente di stimolo ma credimi, per scrivere 100 pagine mi ci vorrebbe un anno intero.
comunque ti ringrazio tanto, frank, delle belle parole.
stefano

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

simona mi ha chiesto di inserire queste sue parole perché per qualche misterioso motivo non riesce ad accedere ai commenti; naturalmente viste le belle cose che dice lo faccio con gran piacere :-)
"Carissimo Stefano
è un racconto lucidissimo.
La rivolta, l'esasperazione, contro chi - infondo - somiglia a Pestalocchi. E' un emarginato come lui.
Sembra quasi una giostra allucinata della violenza, dove il più forte non è tale in assoluto, ma è chi si dimostra un po' meno debole di un altro.
Quanta verità, mio caro Stefano, in questa tua dolentissima analisi dove tutti sono clandestini, e non lo sanno.
Bravo.
Un caro abbraccio
Simona Lo Iacono

grazie a te simona
stefano