martedì 4 marzo 2014

l'italietta

Certo che siamo davvero un paese assurdo. Uno raggiunge un meritato successo e c’è subito chi cerca di sminuirne il valore tra l’altro denigrando le scelte di chi quel film lo ha premiato; certo è più che legittimo esprimere la propria opinione su un film, il proprio dissenso ma perché  farlo con un livore che pare celare una ingiustificata invidia?  Nel panorama nostrano Sorrentino è sicuramente uno dei registi più capaci assieme a Crialese, Winspeare  - e pochi altri - e lo ha ampiamente dimostrato con i suoi lavori precedenti. Credo pertanto che almeno meriti rispetto perché fare dei buoni film in un paese che produce pellicole davvero poco interessanti, scritte male e mal fotografate, dirette sciattamente e  spesso interpretate da attori a dir poco mediocri (ma quelli bravi dove li tengono, perché da qualche parte ci saranno no?)  è davvero un’impresa miracolosa. Dall’altro canto c’è chi parla già di una nuova rinascita del cinema italiano come se una vittoria pur prestigiosa ( Sorrentino aveva già trionfato a Cannes con il Divo mi pare) potesse improvvisamente cambiare le sorti di un paese che, almeno politicamente e commercialmente se ne fotte della qualità preferendo perseguire il facile successo attraverso prodotti cinematografici  che vengono distribuiti  con lo stesso criterio che viene utilizzato per vendere patatine o popcorn… ma forse il business  sta proprio lì. Diamoci una calmata per favore e invece di dare aria alla bocca mettiamoci un po’ a studiare che di strada da fare ce n’è tanta.  
Ieri ho visto alcuni dei mini trailer che venivano mandati in onda prima di ogni premiazione: quelle poche immagini erano sufficienti a mostrare interpretazioni che facevano venire i brividi. Questo è il cinema!

mercoledì 15 gennaio 2014

UROBOROS

 

Un insegnante sale sul treno ancora assonnato; si siede al primo posto libero in una carrozza poco riscaldata. Arriva il controllore per la verifica dei biglietti. Il viaggiatore gli mostra scocciato l’abbonamento pensando tra sé e sé “ sono anni che prendo il treno e questo qua ancora mi chiede l’abbonamento” 
Al pensiero seguono le parole: “ Ma non si vergogna a chiedere i biglietti? Pazienza il ritardo ma non sente che questa vettura è gelida, ci trattate come bestie ci trattate e avete pure il coraggio…”
“ma guardi che questa è l’unica vettura fredda, le altre sono calde e riguardo al ritardo…” prova a rispondere il capotreno ma non riesce a concludere la frase perché l’altro “ sì, sì, ne avete sempre una pronta, intanto io sto qui a congelarmi! se foste una azienda privata le cose cambierebbero, non vedo l’ora che venga un Italo anche per i regionali”

Sono le 12 e 45 il nostro ferroviere ha appena terminato il suo turno di lavoro. Non vede l’ora di andare a casa. La Mattinata è stata piuttosto pesante e la sveglia ha suonato alle 4 ma prima deve passare alle poste che è l’ultimo giorno per pagare quella “cazzo” di Tares e l’addebito in conto corrente non si può fare. Entra nell’ufficio postale, prende il numero e guarda il monitor digitale “ accidenti ho davanti venti persone” I posti a sedere sono tutti occupati, gli tocca restare in piedi. Mentre è lì che aspetta, un po’ stanco e preoccupato per la paura di non farcela si guarda attorno. Solo tre sportelli aperti. “Guarda quella ,si alza, dove va adesso ma non vede che c’è la fila? E quella vecchia è mezzora che ciarla, perché non prende un appuntamento invece di farci perdere tutto questo tempo” si gira in cerca di complicità e la trova: “ Siamo proprio in Italia! e quello adesso dove va? Scusi sa, le sembra questo il momento di assentarsi, è una vergogna, qua c’è un sacco di gente che aspetta… e aprite un altro sportello no! gli grida attraverso il vetro. “Signore stia calmo e aspetti il suo turno” risponde l’impiegato “ sono due ore che non mi sposto da quella sedia sa e anche noi abbiamo le nostre esigenze fisiologiche e siamo solo in tre…è tutta la mattinata che c’è fila per pagare la Tares e tutti si sono decisi l’ultimo gio…” Sì sì, sempre ad accampare scuse, fate bene il vostro mestiere piuttosto, vi paghiamo e ci tocca pure subire tutta la vostra disorganizzazione”

Alle due e trenta il nostro impiegato delle poste esce dal bar vicino alla piazza del mercato. Ha pranzato in fretta sorseggiando una birra ghiacciata e il panino gli si è rimasto sullo stomaco. Oggi deve andare al colloquio con gli insegnanti dell’istituto frequentato da suo figlio e sua moglie è impegnata così ha preferito rimanere in centro per non perdere troppo tempo e tra l’altro a “quello stronzo di Italiano” gliene deve dire un paio. Pensava di essere il primo ma dentro la scuola ci sono già numerosi genitori in attesa e la cosa lo innervosisce non poco viste le perdenti esperienze. Si affretta a segnarsi su degli elenchi apposti alla porta di diverse aule ma sa già che non sarà così semplice e che dovrà usare tutto il suo acume strategico e la sua scaltrezza per perdere il minor tempo possibile… Una vera Guerra senza esclusioni di colpi. Dopo diverse discussioni e prevaricazioni verbali arriva finalmente il suo turno e si trova faccia a faccia con l’insegnante di lettere. “Cos’è questa storia che mio figlio non studia e che è un prepotente? gli dice appena il professore apre bocca “Ma lo sa quanta roba hanno da studiare sti ragazzi e poi come fanno con la palestra… e gli amici, la vita sociale? lettere poi, cosa ci faranno una volta usciti da qua con la poesia e la letteratura? E’ roba che si mangia, forse? Questo è un istituto tecnico caro il mio professore, forse non se n’è accorto… devono imparare a usare le mani e basta… sì certo, anche per reagire alle provocazioni! Piuttosto se la prenda con quel coglione di Giorgini che è un mese che gli dà del gay perché si depila… Cosa doveva fare secondo lei, subire e stare zitto? Come no, tanto voi che vi frega?! …E poi cosa è sta storia del cellulare spento durante le sue lezioni?
“ guardi che se deve comunicare delle questioni urgente c’è sempre la segreteria, non…” riesce appena a dire lo smarrito docente nuovamente interrotto dal furibondo genitore
“ Ma che cosa dice? ho speso seicento euri per quello smarfon o come cavolo si chiama e non posso neppure telefonargli… ma che ne sa lei? sicuramente non avrà figli adolescenti, altrimenti… lei è un insegnate, allora si limiti alla sua materia, che quello è il suo mestiere, tra l’altro neppure troppo faticoso visto le poche ore che lavorate… e vi lamentate pure”.

Sono le 18 e 30, l’aula finalmente è vuota. Al nostro insegnante di lettere scoppia la testa ma cerca di resistere perché sa che la giornata non è ancora terminata. Deve correre in stazione e prendere il treno delle 19.00 che lo porterà a casa dopo poco meno di un’ora di viaggio… sempre che sia in orario.

giovedì 9 gennaio 2014

sulla lettura

A volte, quando si parla di letteratura, dell’emozione che riesce a trasmettere, pare quasi che si esageri ma chiunque avesse ascoltato le parole di Cinzia questa mattina a colazione parlandomi dell’ultimo libro che sta leggendo “Non ora, non qui” il primo libro di Erri De Luca (a mio parere uno dei nostri più grandi scrittori) edito nel 1989  si sarebbe reso conto di  quanto possa essere magico il potere della lettura. Nelle sue parole c’era una tale enfasi, quasi infantile, da far sorridere, mi invitava a leggere il racconto al più presto e mi decantava ancora una volta la bellezza della prosa di Erri della sua poetica, del umanità che si percepisce in ogni sua frase: “ ogni volta che incomincio a leggere non vorrei smettere e mi dispiace solo che sto per finirlo; pensa ieri sera ho letto una rivista per ritardare quel momento.
Ma come è possibile  scrivere in questo modo meraviglioso? e dopo?

Enfasi eccessiva? Chi ama leggere sa che non è così. Quelle sensazioni le provi ( purtroppo non sempre questo accade) ogni volta che hai la fortuna di trovarti  tra le mani uno di quei libri, uno di quelli  in cui ti immergi totalmente e da cui non vorresti più uscire, uno di quelli  che quando arriverai al punto finale terrai stretto a lungo fra le mani e magari  ne rileggerai le ultime righe  con un sorriso ebete sul volto  e con una strana sensazione di perdita perché sai che domani sarà davvero un altro giorno e un’altra storia e chissà quando riuscirai nuovamente ad innamorarti di altri personaggi, di altri libri, di altre vite che poi, diciamolo, non sono così altre come spesso si crede, perché quelle storie, lo sappiamo bene sono le nostre storie, le nostre umane storie di piccoli naviganti, a volte con la bussola ben salda in mano, spesso alla deriva.

sabato 4 gennaio 2014

un regalo inatteso

Capotreno. Questo da tanti anni è il mio mestiere.
Come spesso mi è capitato di raccontare, il mio è un lavoro  fatto di incontri; certo  alcuni, potendo scegliere, li  avrei evitati volentieri, ma poi per mia fortuna  ce ne sono gli altri  che non solo pareggiano i conti ma sono un vero balsamo per il vivere, un massaggio d’anima che ripara i torti e ti riconcilia con il mondo, con i tuoi simili. Piccole cose,  piccoli ma immensi istanti magici che danno una bella spinta al tuo incedere.
E quando capitano allora riesci a sopportare  gli orari irregolari, la clientela spesso insofferente, a volte a ragione a volte a torto, ma comunque difficile da gestire, la crisi diventata sempre più tangibile anche in quel microcosmo che è l’ambiente ferroviario, l’arroganza e l’ignoranza, ingredienti micidiali  che purtroppo caratterizzano sempre più questi nostri anni…

E così, una grigia mattina di gennaio alle 7  di ritorno da un servizio iniziato il giorno prima alle 11 e 50, infreddolito dall’umidità del mattino e dal sonno perché ho dormito poco e male, in quella pur confortevole stanza d’albergo, dove l’implacabile sveglia ha trillato alle 4 e 50, arriva “L’incontro” quello che non mi aspettavo: 
entro nell’ultima carrozza del treno, il riscaldamento è insufficiente ( nessuno osi far battute) perciò la carrozza è quasi deserta; quasi perché in piedi c’è una persona sulla settantina con in mano un foglio.
“signore, se vuole nella vettura accanto è più caldo e ci sono posti liberi” gli suggerisco
“ guardi non si preoccupi, sto bene e poi sa canto in un coro e devo esercitarmi, è qui non do fastidio a nessuno” mi risponde sorridendo e con uno spiccato accento bolognese
“ come vuole, certo qua non dovrebbe disturbarla nessuno…. ma cosa canta?” chiedo incuriosito
“ guardi” e mi mostra il foglio “ è una canzone irlandese dell’ottavo secolo, musica sacra, “scretta mélla e tréssent an fa” (scusate il mio pessimo dialetto) mille e trecento anni fa” si chiama: Be thou my vision, thou sta per you, così come queste altre” e mi mostra altre parole sottolineate di rosso “sono in irlandese antico”
Annuisco catturato dalla sua simpatia. 
Poi, all’improvviso mi guarda e dice sorridendo:
“ Stia lì e ascolti, gliene canto una strofa…se poi se ne va potrò sempre dire a me stesso che non lo ha fatto perché stonavo ma perché doveva tornare a lavorare” e senza altro indugio si posiziona, gambe leggermente divaricate e braccio teso davanti con in mano il foglio, e comincia ad intonare la canzone.
La voce è bella e intonata il ritmo c’è la mano che batte sulla coscia ne scandisce il tempo. Ad un certo punto quando la melodia pare mutare si interrompe e si scusa lievemente impacciato
“ guarda che roba, quando sono in gruppo nessun problema, invece davanti a lei mi ha fregato l’emozione”
Lo rassicuro
“guardi che ha cantato molto bene… tra l’altro la canzone mi pare di conoscerla, molto bella”
Mi allontano un attimo perché devo chiudere le porte  e controllare un paio di biglietti ma poi ritorno dal mio simpatico viaggiatore che si sta esercitando a bassa voce
“ ecco ora sono pronto, vorrei riuscire a farle ascoltare almeno la prima strofa per intero”
dice e dopo aver assunto la postura consona si mette nuovamente a cantare. 
Per non metterlo in imbarazzo guardo fuori dal finestrino e  ascolto
Questa volta tutto procede bene senza nessuna interruzione e nessuna incertezza.
Mi congratulo e mentre lo ringrazio per l’inaspettata esibizione canora lui, quasi a giustificarsi mi dice
“ sa per me questa musica, il verde dell’Irlanda - ci sono stato sa-  mi fa bene all’anima, è terapeutica” 
sento nella sua voce una lieve commozione
“ sa, non sempre le cose vanno nel verso giusto, a volte ci sono momenti difficili da superare allora canto e miracolosamente le tensioni si alleggeriscono….”

Stiamo arrivando in stazione a Rimini mi congedo augurandogli un buon anno e una buona esibizione e mi allontano con una probabile aria da beota sul volto.

E’ vero poi miracolosamente le tensioni si alleggeriscono 





martedì 10 dicembre 2013

incipit " i sonnambuli"


C'erano degli strani esseri che da anni passavano sempre dalla stessa porta nonostante attorno ce  ne fossero tante altre di ogni forma e dimensione. Forse c'era stato un tempo in cui avevano utilizzato anche gli altri ingressi ma nessuno se ne ricordava più e nessuno se ne era mai posto il problema.
Da un tempo indefinito si infilavano in quella specie di cunicolo angusto come se non ci fossero alternative e sinceramente la cosa non li turbava più di tanto; parevano seguire un ordine prestabilito, immutabile, un po’ come quello che costringe i salmoni alla risalita che li condurrà alla morte o che  spinge i lemming al suicidio di massa. E pensare che non era per nulla agevole varcare quella soglia. Con il passare del tempo questi individui si erano modificati strutturalmente ed erano diventati sempre più obesi ed impacciati mentre la porta, al contrario, diventava sempre più stretta, soprattutto  a causa della formazione nel perimetro interno di alcune escrescenze, astratte protuberanze in continuo movimento: un’inquietante cornice dall’aspetto per nulla rassicurante. Se si aggiunge poi che la splendida luce che un tempo indorava l'ingresso era del tutto scomparsa, quella assurda ostinazione era davvero inspiegabile, del tutto innaturale, anche per chi da anni aveva smesso di evolversi seguendo i dettami indicati dalla natura.
Da tempo avevano smesso di sognare, di pensare, di farsi domande; i gesti erano semplici e sempre gli stessi, monotoni ma rassicuranti come tutte le cose abitudinarie. Non erano felici ma neppure tristi, nessuna emozione turbava la loro vita piatta, scialba. Vivevano senza alcun sussulto, liberi, ma senza sapere che farsene della loro libertà perché da troppo tempo avevano smesso di scegliere autonomamente preferendo farsi guidare da altri che generosamente si erano accollati questo onere in loro vece. Così passavano gran parte del loro tempo  a consumare e ad ingoiare ogni cosa con una ipnotica e insaziabile ingordigia...

domenica 17 novembre 2013

Ieri sera ho visto un bel documentario su Charles Bukowski; a un certo punto del film c'è una sua lettura di un frammento di questa poesia che non può lasciare indifferenti soprattutto se si tiene conto che è stata scritta una quarantina di anni fa.
DINOSAURIA,WE
Nati cosi' in mezzo a tutto questo
tra facce di gesso che ghignano
e la signora morte che se la ride
mentre gli ascensori si rompono
mentre gli orizzonti politici si dissolvono
mentre il ragazzo della spesa del supermercato ha una laurea
mentre i pesci sporchi di petrolio sputano la loro preda oleosa
e il sole e' mascherato
siamo nati cosi'
in mezzo a tutto questo
tra queste guerre attentamente matte
tra la vista di finestre di fabbrica rotte di vuoto
in mezzo a bar dove le persone non non si parlano piu'
nelle risse che finiscono tra sparatorie e coltellate
siamo nati cosi'
in mezzo a tutto questo
tra ospedali cosi' costosi che conviene lasciarsi morire
tra avvocati talmente esosi che e' meglio dichiararsi colpevoli
in un Paese dove le galere sono piene e i manicomi chiusi
in un posto dove le masse trasformano i cretini in eroi di successo
nati in mezzo a tutto questo
ci muoviamo e viviamo in tutto cio'
a causa di tutto questo moriamo
castrati
corrotti
diseredati
per tutto questo
ingannati da questo
usati da questo
pisciati addosso da questo
resi pazzi e malati da questo
resi violenti
resi inumani
da questo
il cuore e' annerito
le dita cercano la gola
la pistola
il coltello
la bomba
le dita vanno in cerca di un dio insensibile le dita cercano la bottiglia
le pillole
qualcosa da sniffare
 Siamo nati in questo essere letale triste
siamo nati in un governo in debito di 60 anni
che presto non potra' nemmeno pagare gli interessi su quel debito
e le banche bruceranno
il denaro sara' inutile
ammazzarsi per strada in pieno giorno non sara' più un crimine
resteranno solo pistole e folle di sbandati
la terra sara' inutile
il cibo diventera' un rendimento decrescente
l’energia nucleare finira' in mano alle masse
il pianeta sara' scosso da un’esplosione dopo l’altra
uomini robot radioatitvi si inseguiranno l’un l’altro
il ricco e lo scelto staranno a guardare da piattaforme spaziali
l’inferno di Dante sara' fatto per somigliare a un parco giochi per bambini
il sole sara' invisibile e sara' la notte eterna
gli alberi moriranno
e tutta la vegetazione morira'
uomini radioattivi si nutriranno della carne di uomini radioattivi
il mare sara' avvelenato
laghi e fiumi spariranno
la pioggia sara' il nuovo oro
la puzza delle carcasse di uomini e animali si propaghera' nel vento oscuro
gli ultimi pochi superstiti saranno oppressi da malattie nuove ed orrende
e le piattaforme spaziali saranno distrutte dalla collisione
il progressivo esaurimento di provviste
l’effetto naturale della decadenza generale
e il piu' bel silenzio mai ascoltato
nascera' da tutto questo
il sole nascosto
attendera' il capitolo successivo"
Charles Bukowski

domenica 6 ottobre 2013

la critica cinematografica ha ancora un senso?

Spesso si tende ad uniformare i gusti dei critici cinematografici diffidando delle loro opinioni spesso giudicate troppo selettive perché non tengono conto del gusto del pubblico. Purtroppo temo che da tempo non sia più così. Personalmente da un cosiddetto esperto mi aspetto comunque una valutazione, una recensione che non sia banale, un punto di vista diverso, non importa se condivisibile o meno ma che almeno non dia l'impressione di cercare un facile consenso, quello della maggioranza. Da qualche anno mi pare che -anche- la critica sia poco incline a seguire questa strada e piuttosto che offrire un punto di vista " altro"  che possa essere da stimolo preferisca compiacere la pubblica opinione giustificandola in ogni sua scelta, anche la peggiore. Ecco allora lo sdoganamento di alcuni film che, pur offrendo dal punto di vista sociologico numerosi spunti, dal punto di vista strettamente cinematografico sia per le qualità tecniche che per quelle attoriali rimangono prodotti mediocri se non pessimi.
 C'e' stato un tempo che i critici sembravano tendere ad essere antipatici e saccenti a tutti i costi ora invece pare l'esatto contrario; forse gli errori commessi nel passato, la poca lungimiranza nel giudicare attori come Totò, registi come Billy Wilder, come Hitchcock pesano ancora. Ma assecondando continuamente gli spettatori, soprattutto quelli di bocca buona, per vendere giornali, per rendersi più "simpatici" si rischia davvero di rendere inutile la funzione del critico che dovrebbe fare da tramite tra il lavoro cinematografico e lo spettatore dandogli una lettura magari meno emotiva ma forse più sfaccettata, per solleticare la curiosità di chi ama ancora il cinema. Più si assaggia, più si impara ad affinare il gusto; la conoscenza deve/dovrebbe essere nutrita non certo contenuta. 
Ad avallare questa mia tesi, poche righe rubate all'articolo di Mauro Gervasini, direttore di film TV in apertura del nuovo numero della nota rivista cinematografica: pare che un critico del Corriere della sera  abbia definito "fortunati " gli spettatori della retrospettiva  milanese  sui film di Venezia che non avrebbero visto Jiaoyou (cani randagi)  di Tsai Ming-Liang perché  non inserito nel programma. Al di là dell'opinione personale del signore in questione credo sia poco rispettoso nei confronti di chi il film l'ha fatto e del pubblico della rassegna che se ne avesse avuta l'opportunità magari una  propria opinione in merito se la sarebbe fatta.  Ora io il film non l'ho ancora visto ma immagino che, visto il commento commosso dello stesso regista durante la premiazione volto a ringraziare la giuria per la pazienza e la generosità dimostrata nell'aver scelto un film così  lento e non certo facile, sia davvero un film, purtroppo, per pochi (almeno nel nostro paese); non per scelta premeditata del regista che immagino ambirebbe  oltre a ricevere premi anche ad allargare il proprio pubblico, regista che per quel poco che so di lui non difetta certo di umiltà e di onestà intellettuale (vedere qualche sua intervista) ma  semplicemente perché gran parte del pubblico italico, un po' per pigrizia ma anche per poca dimestichezza con un certo tipo di cinema che viene distribuito poco e male (spesso per niente) e soprattutto poco pubblicizzato, contrariamente a quanto accade con certi blockbuster  americani, anche quando questi sono poca cosa o con alcuni prodotti nostrani non sempre degni di nota.  (ricordo ancora l'uscita tardiva del film The Road tratto dall'omonimo libro di Cormac McCarthy perché ritenuto troppo triste per gli italiani)




domenica 29 settembre 2013

Il dio delle lumache





Non vi preoccupate, qui di lumache e del loro destino si parlerà davvero, nulla a che vedere con l'eleganza del riccio, del giorno della locusta o dei tre giorni del condor dove il riferimento con l'animale è per lo più un pretesto per scrivere un racconto metaforico. La chiocciola è quel piccolo animaletto viscido che normalmente suscita in noi reazioni contrastanti, di repellenza se si pensa alla sua vischiosità ma anche di profonda simpatia per quella sua timidezza, quel suo ritrarre le corna, per la sua proverbiale lentezza e quel suo portarsi appresso la casa sulle spalle; chi da bambino non ha mai disegnato una lumaca? Ma ora basta con le digressioni e veniamo al dunque.

   Stavo facendo la mia solita camminata lungo il percorso naturalistico che costeggia sinuosamente il fiume Marecchia con passo spedito. Era mattina presto e l'aria fresca e umida pungeva le narici. Dopo trenta minuti buoni non avevo ancora incontrato nessuno quando a un certo punto vedo una lumaca intenta ad attraversare il sentiero. La guardo e mentre allungo il passo per non calpestarla, mi domando se non fosse stato il caso di aiutarla nel suo intento, conscio che di lì a poco, orde di biciclisti, come li chiama mio padre, sarebbero transitati, e allora per lei il rischio da correre sarebbe stato davvero grosso. Ma poi rifletto: chi sono io per decidere della sua sorte, non sono mica il Dio delle lumache e poi chi mi dice che una volta trasportata dall'altra parte, magari quella sbagliata, lei non faccia dietro- front; allora nulla sarebbe valso essermi costituito da uomo del destino e poi oramai sono lontano e non ho alcuna intenzione di ritornare indietro. Dopo qualche minuto ne incontro un'altra. Stesso comportamento. Vera coerenza. Passa il tempo ma nonostante cerchi di essere indifferente, neppure la bellezza della natura riesce completamente a distrarmi. Ogni tanto la mente ritorna a quelle due creature che ho lasciato in balia del loro destino e nonostante cerchi di giustificare la mia scelta, devo ammettere di sentirmi un po' strano. Ancora qualche passo e ne scorgo una enorme ma è solo un guscio vuoto. Meno male! Dopo circa trenta minuti raggiungo il cavalcavia dell'autostrada perciò decido di tornare indietro. E' vero, sono leggermente in ansia e dico a me stesso che se al ritorno trovo ancora le mie due amiche, le sposto nell'erba. Fanculo! . Accelero il passo perché sono quasi le nove e anche se è una domenica mattina di novembre, ho già incontrato i primi ciclisti isolati e il tempo stringe. E' davvero difficile che decine di ruote cingolate lascino un cm di spazio libero sulla strada bianca. Eccoli accidenti! Con i loro costumi attillati, i loro copricapo e le loro mountain bike ultraleggere, con quel battistrada da trattore, fanno davvero impressione. Li immagino davanti allo specchio mentre indossano fieri la loro divisa pronti alla missione. Più che sportivi mi sembrano un esercito di super eroi da fumetti. Sono certo che se mi girassi mentre sfrecciano al mio fianco, li vedrei alzarsi in volo. Devo essere sincero in branco un poco mi irritano. Forse esagero ma spesso colgo, nel loro incedere, una punta di arroganza, quasi una mancanza di rispetto nei confronti dei poveri camminatori che non possono fare altro che scansarsi velocemente al loro sopraggiungere, e dell'ambiente che li circonda. Chi cammina in quella strada ghiaiosa sente solamente il rumore dei propri passi così come chi pedala in solitaria, il lieve scricchiolio della ghiaia sotto ruote. La natura con i suoi suoni non ne viene disturbata più di tanto.
Mi scanso leggermente di lato, uno di loro, probabilmente il capo muta, grida un “bravo” perché con il mio movimento, a suo giudizio corretto, non l'ho costretto a frenare. Bravo un cazzo, stronzo! Penso. Non è certo il caso di mettersi a litigare con trenta Nembo Kid. E poi ho fretta e sono preoccupato per le mie due chiocciole. Riprendo il cammino che ora è quasi corsa. Trovo il guscio vuoto. Intatto. Allora c'è qualche speranza. Non riesco però a essere davvero ottimista. Infatti, di lì a poco scorgo tra i solchi inequivocabili un grumo composto da guscio sassi e materiale organico. Non ce l'ha fatta cristo! Un lieve senso di colpa affiora dentro di me. Egoisticamente penso “sono quasi cieco come una talpa eppure l'ho vista, accidenti” Già, occhio non vede cuore non duole. Invece gli toccherà dolere. Vado avanti con la tenue speranza che almeno l'altra si sia salvata e allungo il passo temendo il peggio. Mentre cammino, attivo il radar e perlustro ogni centimetro di terreno che mi sfila sotto i piedi come un tapis roulant. Dopo dieci minuti, realizzo che oramai devo aver superato il punto dove ho incontrato la prima lumaca e tiro un sospiro di sollievo. Almeno una si è salvata. Rallento un po' e cerco di distrarmi guardando il paesaggio ma non riesco a non pensare al mio atteggiamento di poco prima quando ho cercato di mascherare la mia indifferenza con un bislacco e supponente ragionamento intellettuale mentre sarebbe stato così semplice interrompere per un attimo il mio cammino, prenderle delicatamente fra le dita e riporle dolcemente sull'altro lato della strada mettendole così al sicuro. Piuttosto che prendere una facile decisione, ho preferito perdermi in inutili elucubrazioni, caratteristica del tutto umana, così come quella di cercare a tutti i costi di trovare complessi e reconditi significati anche quando questi non ci sono. Potevo fermarmi ma non l'ho fatto, punto. E' sempre una questione di scelte: per non perdere tempo, ho preferito fosse il caso a decidere al posto mio e l'ho fatto sapendo che stavo puntando loro una pistola pronta per un giro di roulette russa a cui i due ignari molluschi non sapevano di partecipare.

   Ogni azione determina un effetto e non è certo che quelle buone portino con certezza buoni risultati ma se tornassi indietro, non avrei dubbi e senza scomodare alcuna divinità so che la mia decisione sarebbe molto diversa da quella che presi quel giorno perché anche se sono consapevole che le nostre scelte non sempre hanno il potere di modificare sensibilmente il corso delle cose questo non significa che possiamo sottrarci dalle nostre responsabilità semplicemente girando la testa di lato.