mercoledì 3 febbraio 2010

la stanza dei racconti incompiuti

Il più delle volte, quando si è rotto il ghiaccio tutto diventa più facile.
Ma è sempre così?
Prendiamo lo scrivere, una storia un racconto per esempio; la parte per me più difficile non è l'idea iniziale ma il dare seguito a quella idea. Non ne conosco il motivo. Pigrizia, paura o semplicemente incapacità? Sta di fatto che spesso non ho la forza di andare avanti, di arrivare fino in fondo.
Forse dovrei cominciare dalla fine.
Oppure dovrei semplicemente accettare questo mio limite ed arrendermi all'evidenza rinunciando a cercare ad ogni costo una soluzione che forse non esiste.
Frugando tra i miei scritti di qualche anno fa ho scovato queste parole che definirei significative:
"...ho spesso iniziato racconti che però non ho quasi mai portato a termine; le partenze erano fulminee, nella mente, poi appena l’idea originale prendeva forma sulla carta, un po’ per pigrizia, ma soprattutto a causa delle mie evidenti difficoltà con lo scrivere, ad un certo punto mi stancavo e piantavo tutto lì, dopo alcuni punti di sospensione, così...! Ma questa volta farò in modo che ciò non accada. Porterò a termine l’impegno preso, Ehi, voi che ve ne state lassù con lo sguardo ansioso e preoccupato, tirate pure un sospiro di sollievo, andrò avanti! Ma lo farò così, a casaccio senza una vera traccia da seguire, scriverò dei miei pensieri che a volte entrano, impertinenti, nella mente e poi se ne vanno lasciando strane sensazioni, a volte piacevoli a volte sgradevoli... come fanno gli odori."

Questo è la ragione per cui ho deciso di dare ora visibilità a questi scritti- embrioni mai diventati racconti che come orfani giacevano abbandonati in vecchi quaderni oppure semplicemente abbozzati su pezzi di carta occasionali. Finalmente potranno respirare e magari dare un senso al loro esistere. Dopo ogni pubblicazione qui nella STANZA troveranno poi una giusta collocazione in un blog tutto loro che si chiamerà La stanza dei racconti incompiuti.
Naturalmente saranno molto gradite anche le vostre storie mai portate a termine se vorrete condividerne alcune.

Ora basta con le chiacchiere, altrimenti va a finire che non porto a compimento neppure questo progetto.
Ecco il primo dei miei racconti abbandonati:


Era ancora buio. Una luna luminosa ed ostinata si insinuava tra le nuvole.
"sembra l'occhio di Dio" pensai con lo sguardo rivolto a quello squarcio di luce nell'oscurità del cielo.
Continuai a pedalare mantenendo una discreta andatura.
Il silenzio della notte non pareva infastidito dal lamento che le pedivelle emettevano ad ogni pressione del piede. La mia bicicletta arrugginita, Condor era il suo nome, svolgeva ancora egregiamente il suo servizio nonostante la non più giovane età. Da quando il petrolio era praticamente esaurito, così come altre risorse energetiche, quello era diventato uno dei pochi mezzi di locomozione ancora efficiente. Chi avrebbe immaginato, solo pochi anni fa, che il possedere un vecchio velocipede, sarebbe stata considerata una vera fortuna. Da anni l'uomo non se ne serviva più. Tranne qualche sportivo e qualche miserabile la maggior parte della gente si spostava con mezzi sempre più sofisticati; auto definite impropriamente ecologiche che consumavano una quantità incredibile di energia necessaria non solo per farle funzionare ma ancora di più per la loro costruzione. Ora invece, che l'umanità aveva compiuto un salto temporale a ritroso di quasi un secolo, chi era proprietario di una bicicletta veniva considerato un uomo davvero fortunato.
Quel mezzo fuori dal tempo ti dava la possibilità di compiere dei lunghi spostamenti in tempi relativamente brevi e di conseguenza la possibilità di sopravvivere.
E sopravvivere, dopo la catastrofe, era l'unica quotidiana prospettiva di chiunque fosse riuscito a non morire.
Erano passati tre anni oramai, da quando la terra, stanca della nostra ingordigia, lacerata dai continui abusi, si era ribellata dopo l'ennesimo stupro perpetrato ai suoi danni, mandando all'aria gran parte delle nostre umane certezze.

Come ogni mattina, anche oggi sarei uscito dal torpore del sonno pedalando per quindici chilometri. Quella era la distanza che percorrevo per recarmi al mio posto di lavoro. Il mio incarico era quello di coordinare una squadra di operai, specializzati nel recupero di edifici storici. Molti ritenevano alquanto inutile e piuttosto strano il dedicarsi ad una simile attività in un momento drammatico come quello in cui eravamo stati scaraventati. L'unica occupazione considerata fondamentale era quella della sopravvivenza, quella di procurarsi il cibo, soprattutto per nutrire quel corpo che deperiva ogni giorno di più. Noi non la pensavamo così. Pur essendo consapevoli che senza cibo saremmo scomparsi dalla faccia della terra eravamo fermamente convinti che per ricominciare avevamo bisogno di non perdere il filo della memoria e che per far sì che questo accadesse dovevamo ristabilire al più presto il contatto con il passato, la nostra storia.

La strada era praticamente deserta. Immondizia e macerie si disputavano lo spazio ai lati della carreggiata. L'incontro con cani di dubbia razza che ciondolavano come ubriachi, frugando tra la spazzatura alla ricerca disperata di qualcosa di commestibile, allertava i miei nervi e nello stesso tempo era la conferma che non ero l'unico essere vivente costretto a rincorrere la vita. Paura e sollievo erano i controversi stati d'animo con cui dovevo convivere, ogni mattina e la sera quando percorrevo la strada del ritorno.
Non occorreva essere un genio per capire che quei botoli rinsecchiti, costretti a nutrirsi ingerendo qualsiasi cosa, non avrebbero certo disdegnato un bel roast beef umano.
Questa era la ragione per cui portavo sempre al mio fianco una barra di metallo e nella tasca una pistola sempre carica che fortunatamente non avevo ancora usato.
La violenza mi aveva sempre ripugnato ma ero conscio che prima o poi avrei dovuto fare i conti con la realtà e che molto presto avrei dovuto accettarne le nuove regole, se volevo vivere. Molte delle mie convinzioni erano state messe alla prova e vacillavano ma nonostante la difficoltà a mantenere una certa coerenza con l'uomo che ero stato cercavo con tutte le mie forze di non imbarbarirmi del tutto perdendo così, ogni traccia di umanità.

Sentivo una forte tensione al collo. Provai allora a roteare di lato la testa, come per rimettere in sede gli ingranaggi. A volte funzionava. Funzionò.
Continuavo a pedalare guidato come da un ritmo interiore. Cercavo di non pensare e di tenere ben allertati tutti i sensi. Sapevo quanto fosse facile cadere in preda alla disperazione. Certe ferite erano ancora fresche e mi laceravano il cuore. Ci sono cose, che non si possono del tutto dimenticare, perciò non possiamo fare altro che riporle in qualche angolo della nostra anima con la speranza che il tempo vi depositi sopra quel tanto di polvere necessaria ad attutirne i contorni.
Sapevo che avrei dovuto fare i conti anche con questo, prima o poi, ma ora quello che era davvero importante era il presente. Il futuro era davvero prossimo. Il futuro era l'alba del giorno appresso, non certo più in là.
L'aria era frizzante. Questo primo spezzone d'autunno non era stato particolarmente freddo ma la temperatura da alcuni giorni era diminuita sensibilmente.
Arrivai al cantiere. Il cielo cominciava a schiarirsi e tutto attorno a me quello che restava della città si mostrò in tutto il suo orrore....
stefano mina


8 commenti:

morena ha detto...

Per essere un embrione è già piuttosto sviluppato.
E forse non manca molto per arrivare a un finale. Non ti viene voglia di provarci?

... anche se (sto pensando) certi racconti sono proprio così. vediamo una parte e non riusciamo ad andare oltre.
ciao Stefano :)

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

Morena, tu dici"certi racconti sono proprio così" a me succede con quasi tutte le storie, questo è il problema:-)
A dire il vero sono delle idee butto giù con l'intenzione di dare loro un seguito ma poi il tempo passa e difficilmente questo accade.
sarebbe interessante se questi inizi di racconti fossero completati da altri... chissà cosa verrebbe fuori
ciao Morena

lanoisette ha detto...

io ne ho almeno tre o quattro... ma in testa...

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

ciao noisette, a me sta succedendo anche con le letture. Inizio, mi piace ma quando arrivo ad un certo punto rallento e poi lo lascio in sospeso e passo ad un'altro, a volte li riprendo a volte no; ne ho una decina così e la cosa non mi piace affatto
ciao
p.s. ho visto che partecipi anche tu al domino di L&L

Anonimo ha detto...

E come direbbe qualcuno ... CI PIACE! quello che scrivi (anche se incompiuto)
e perché no ... anche il tuo nuovo look!

A+b

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

...non ho niente da obiettare e gongolo

cristina bove ha detto...

anche per me potrebbe dirsi quasi compiuto, però non mi dispiace nemmeno se resta così :)

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

come dicevo sopra, è difficile per me riprendere una cosa dopo molto tempo, dovrei ritrovare la tensione giusta e non sempre questo accade
ciao Cristina