lunedì 25 agosto 2008

elogio alla fuga...le storie/9


storie, racconti, aneddoti...ecc.ecc.



Al ritorno di brevi ma bellissime vacanze toscane presso volterra, ci trovammo, la mia famiglia ed io, all'ora del pasto, in una zona boschiva dell'appennino tosco-romagnolo.
Gli stomaci brontolavano, perciò senza indugi al primo cartello che indicava un posto di ristorazione svoltammo nella direzione indicata: un vecchio castello (completamente rimosso dalla memoria) con annesso ristorante.
Accecati dalla fame entrammo in una sala esterna situata sotto una grande tettoia e scelto il tavolo ci sedemmo senza fiatare.
Di lì a poco arrivò un cameriere con il menù e un cesto di pane che fu immediatamente aggredito ( il cestino) dai miei figli... d'accordo anche da me e da mia moglie.
Masticando un boccone cominciai a sfogliare lentamente il menù:
" Che cosa c'è stefano, perché fai quella faccia?"
La voce di Cinzia giungeva lontana e un pezzo di pane mi si era incagliato in un certo punto dell'esofago...
I prezzi erano spaventosamente alti!
Cominciai a cambiare colore, dal bianco cadavere al rosso tedescoiprimigiornidivilleggiaturaarimininelmesediluglio
e con calma - si fa per dire cominciai a ragionare sul da farsi. I minuti passavano inesorabili. Del cameriere ancora nessuna traccia.
Dopo un breve conciliabolo prendemmo l'unica decisione possibile.
Con non chalance ci alzammo e elegantemente ce la squagliammo.
L'uscita della sala era proprio vicino al corridoio interno al ristorante. In lontananza vidi arrivare il cameriere che si avvicinava sempre di più:
...e uno, fuori Luca, e due, Fabio e tre, Cinzia... quando fu il mio turno mi trovai proprio davanti all'uomo con la camicia bianca. Il suo sguardo - sorpreso - incrociò il mio - accigliato -. Con le sopracciglia inarcate sgranai gli occhi e con il dito indicai l'orologio e dissi con la faccia come il cosiddetto culo : " è mezz'ora che aspettiamo"... e quattro! Fanculo.
Sentì, finalmente, il boccone scivolare giù.
Sembrava fossimo scappati da Alcatraz, tanta era la sensazione di libertà!

stefano mina



seduti in un caffè in galleria a Milano, in cinque, dalla campagna alla città. Avevo provato a dissuadere, esperta della tentacolare metropoli, ma nessuno mi aveva dato ascolto. Il cameriere porta la lista e ci lascia il tempo di ordinare. Apriamo, allungo la lista al marito e sottolineo col dito: caffè, seimila lire.
Ci siamo alzati all'unisono, che sembravamo quelli del nuoto sincronizzato, e ci siamo dati alla fuga.

annalisa


Era il ’92, Mario era una lieve sardina che sguazzava nel carrozzino; Chiara, la peinteur che svolazza per l’ Indrè de France, era un rotondo palloncino di nove anni.
Quella mattina d’agosto si decise: gita in montagna. Napoli non ha montagne, si va’ al Taburno; il Matese è troppo lontano, faticoso per i bambini, il Taburno, la più brutta montagna del globo terraqueo, con poca vegetazione e senza corsi d’acqua, una specie d’Afghanistan campano... (continua)
-"Francè, gli zii mi hanno detto che questo monte è fantastico, ma portatevi una tanica d'acqua..."
Mia moglie, una ruvida tigre, a mezzo tra la regina Vittoria e Sabrina Ferilli (burbera come sua maestà, ma con le tette come la Ferilli: l'avrò sposata per amore?).
La Panda Fiat 750 aveva 4 marce, ma non servirono, ogni tanto se inforcavi la 3° era meglio non lasciare la frizione, lo facevi con affetto, era la 2°, la marcia nuziale di quella mulattiera! Fu bello stare li, perchè guardavi le altre montagne, il bellissimo Matese e l'inizio degli appennini, lui, il Taburno mesozoico, era meglio non rasentarlo con lo sguardo, un velo di tristezza da ritirata di Russia lo copriva ed un freddo terrifico lo spazzava (a valle avevamo lasciato 39, allegri, gradi). All'una del pomeriggio la tigre branì (Cerva?):"I bambini hanno fame:trova un ristorante!"
Alle 2, mentre Chiara, travolta dalla fame, cantava a squarciagola "...due elefanti, si arrampicavano sul filo di una ragnatela...", io mi arrampicavo tra tornanti e andanti (nel senso che spesso tornavo indietro dopo essermi perso)senza trovare neanche un rustico con una caciotta.
La madre di tutte le madri, la leonessa che vede i bambini deperire, mentre quel pirla del leone si crogiola al sole, mi colpì più volte sul sopracciglio con un'ombrello ("dove cazzo hai trovato un ombrello ad agosto?" - "era per proteggere i bambini dal sole, ora mi serve per proteggerli dalla tua inettitudine!").
Eccolo! Bar-Ristorante da Alfredo: entriamo? C'era da dirlo? Entrammo!
La sala con una decina di tavoli, dipinta di bianco-cielogrigio-quando-vorrebbe-piovere. I tavoli di fòrmica marron, alle pareti una vecchia foto di Papa Giovanni e quella di un cinghiale, pensai: dev'essere un posticino coi fiocchi, rustico e casereccio (lo ammetto, fui fottuto dalla foto col cinghiale, non mi resi conto che i cinghiali raramente si fanno fotografare seduti: dopo ripensandoci, intuìi che era un dagherrò del capostipite).
Un quarto d'ora dopo, quando Chiara aveva spelacchiato un cesto di margherite, spargendole sul pavimento, arrivò Attila.
Si abbottonava la giacca bianca velocemente, sbagliando le asole e inciampando su di una vecchia scopa si abbattè quasi sul tavolo e melifluamente chiese:"Preco?" (con la C)
"Che c'è da mangiare?"
Posizionò tre dita al centro del cranio e grattando della forfora che si staccava miracolosamente dai capelli stuccati di una odorosa Brillantina Linetti rispose: "Qualsiasi cosa!"
Come "qualsiasi cosa", diceva Tonia, mentre lui andò via per imbandire, questi non hanno neanche un menù?
"Dai, ci faranno cose genuine, preparate al momento!"
Attila tornò. Imbandì con un pezzo di sottocarta bianca da parati la tavola, poi la catarsi. Dopo essersi grattugiato la punta del naso prese un mazzo di posate da un cassetto, reggendole dalla parte dell'imboccatura e le posò a tavola. Tonia impugnò l'ombrello (spuntava da tutte le parti), io tremavo, con classe. Poi, il cameriere fece l'ultima, ficcò le mani in tre bicchieroni di vetrone infrangibile (le unghie nere di lutto toccavano il fondo opaco di calcare)e li posizionò a tavola.
L'urlo di Tonia squarciò la pace funerea del monte: "E basta! Via, via!"
"Chi io?" latrò il cane impomatato travestito da servo.
"No, noi!"
E trascinandoci come masserizie di un accampamento Rom, invaso dai naziskin, Tonia ci indusse ad uscire fuori, mentre il domestico quasi scappava in cucina.
Fu tutto un fuggi-fuggi.
Arrivai a valle con uno strano fumo che usciva dal cofano (freni) e con l'ombrello puntato nel fegato.
Poi trovammo un fast-food che stava quasi chiudendo e fummo felici (non ricordo se la notte facemmo l'amore, c'era un ombrello nel letto).

francesco di domenico


anno 1976.
il contesto è confuso: politica sesso droga e rock & roll.
notti passate a girare con gente improbabile per bettole e case-comune-accampamento.
sperimentazioni chimiche le più varie. praticamente tutto quello che si trovava veniva provato. così, perchè tanto chissenefrega. e qualunque cosa è meglio della realtà.
una sera di tarda estate, alla ricerca di fumo con un paio di amici, finiamo in un quartiere periferico abbastanza malfamato, in un appartamento condiviso da uno che conoscevamo ed altri. tutti pusher, praticamente una cooperativa.
solito rituale, acquisto e assaggio offerto dal dealer che si offende da morire se non accetti (anche gli spacciatori hanno un'anima).
poi uno dei conviventi tira fuori una bustina, un cucchiaino, un limone e una siringa. io. che ero già piuttosto fatta, rimango stranita a guardare il rituale. lui prepara, si sfila la cinta dai pantaloni, se la stringe coi denti intorno al braccio e si spara mezza pera. sfila l'ago e fa: volete?
silenzio.
io raccatto le forze, mi alzo e dico: scusate ho un impegno.
giro sui tacchi e via.
sola, nel mezzo del nulla, appiedata.
sono arrivata a casa tre ore dopo.

sono molto felice di essere scappata.
scappata a quella che conoscendomi sarebbe stata la mia fine.
perchè l'eroina l'avevo sniffata, un paio di volte.
e mi era piaciuta da morire.

gea


La mia fuga, poco più di un anno fa.
È arrivato con le valigie a casa mia sei settimane dopo il nostro primo appuntamento, battendo sul filo di lana il traguardo dei miei primi trent'anni. E sono cominciate le montagne russe: sei mesi di felicità folle e di abissi terribili, in cui scoprivo sempre più quanto fossimo diversi, quanto quell'uomo che mi faceva sentire amata, unica e indispensabile mi stesse stringendo intorno lacci sempre più stretti e soffocanti. Niente più amiche, niente più cinema, niente più montagna o vela: solo lui ed io, una monade di passione e possessività insensata. Adorata come una dea ma costretta a rinchiudermi nella gabbia dorata della perfetta femmena 'e casa. La sensazione che mi mancasse l'aria. Il tarlo, sempre più profondo, che la rinuncia a me stessa non servisse a far funzionare gli ingranaggi di quel meccanismo meraviglioso e infernale in cui lui chiedeva sempre di più e io mi sentivo svuotare. Tutte le mie energie per lui, energie che non bastavano mai.
Finché un giorno, dopo l'ennesima, furibonda litigata, ho detto la più banale delle frasi: “Torno dai miei”. Quando ho chiuso la porta alle mie spalle, non sapevo se sentissi più intensamente la perdita o la liberazione.
Poche settimane dopo avevo in una mano il timone e nell'altra la scotta di randa e solo mare e vento intorno a me.

lanoisette




Mio padre me lo ripeteva ogni volta:
“Qualsiasi cosa accada, non si scappa. La si affronta”
E io, tutte le volte, assentivo. Con grande serietà.
Era un uomo con delle convinzioni, e cercava di instillarle anche a me.
Però era anche piuttosto severo.
E se avesse saputo di quella nota sul diario, datami in circostanze piuttosto controverse dalla professoressa di italiano, avrei sicuramente passato un brutto quarto d’ora.
Dovete considerare che:
primo avevo 13 anni, quindi ero ancora passibile di punizioni corporali;
secondo era il 1975, epoca nella quale il Telefono Azzurro era ancora molto lontano dalla sua nascita.
Così presi la decisione di non dirgli niente, e di tentare di contraffare la firma di mio padre sotto alla maledetta nota.
Ad operazione conclusa, le due firme si assomigliavano come un gatto può assomigliare ad una portaerei.
Non avrei mai ingannato nessuno, e allora si che sarebbero stati dolori.
Fu mentre paventavo punizioni a base di frustate, ferri roventi e vergini di Norimberga, che come un cospiratore si palesò alle mie spalle uno dei miei migliori amici di allora.
“forse un modo di sfangarla c’è…” disse scuotendo una sigaretta immaginaria
“magari” risposi io con voce d’oltretomba. Poi, speranzoso “e sarebbe?”
“È semplice: tu devi semplicemente mangiare l’appuntatura di una matita: questo ti provocherà un tale mal di pancia che dovranno mandarti a casa… “
“Ma sei sicuro?”
“l’ho letto… “
Ero un ragazzino ingenuo, e poi che avevo da perdere? Appuntai un lapis per abbondanti 5 centimetri e buttai giù tutto il legno e tutta la grafite ottenuta. Poi mi misi in speranzosa attesa.
Non dovetti attendere molto: sarà stato il nervoso, sarà stato l’effetto placebo, ma di lì a poco nelle mie viscere si scatenò l’inferno. Era come se qualcuno mi strizzasse lo stomaco e cercasse di legarlo alla parte più nascosta dell’intestino con del filo spinato. Rovente.
Arrivò l’ora di Italiano. La professoressa fece l’appello e attaccò a spiegare. Nel mio intestino intanto si era scatenata una battaglia a colpi di piccone. A quel punto non ce la feci più: alzai la mano e mormorai “professoressa, non mi sento be…”
Il “ne” finale si sparse sul pavimento, insieme alla colazione, ad abbondanti succhi gastrici e a buona parte della cena della sera prima, che evidentemente il nervoso non mi aveva permesso di digerire, fra le urla di raccapriccio della maggioranza della classe, e il ghigno mefistofelico del mio amico.
Fu un tredicenne bianco come un nevaio quello che i miei genitori si videro riconsegnare da una bidella piuttosto schifata qualche decina di minuti dopo.
Ma della nota sul diario, da quel giorno, nessuno parlò più.

southwest



- Ma tu vesti sempre così classico?

G. aveva passato il palmo della mano sui miei pantaloni, all'altezza della coscia ed io non riuscii a trattenere un fremito, abortito tentativo di scostarmi. Per eccesso di cortesia (o di laico rispetto umano) rimasi al mio posto, abbozzando pure un mezzo sorriso, mentre rispondevo

- No, di solito preferisco i jeans, ma in questi giorni lavoro presso un cliente...

E giù a raccontare dettagli del mio lavoro che non fregavano a nessuno. L'importante era non far rimanere male G. E dissuaderlo da nuovi tentativi di contatto.
L'avevo conosciuto quando viaggiavo sulla linea ferroviaria Genova-Milano e prendevo l'intercity della 10,08.
A quell'ora non c'era molta gente che saliva sul treno, non era certo un problema trovare posto. Tuttavia usavo posizionarmi sul binario all'altezza delle carrozze di coda, per sfruttare la distribuzione gaussiana dei passeggeri e trovare spesso l'intero scompartimento libero, un'oasi di solitudine e silenzio prima del caotico CED che mi attendeva a Milano.
Due o tre giorni la settimana G. prendeva quel treno, aspettandolo nello stesso segmento di banchina su cui attendevo io.
Era un uomo sulla cinquantina, magro, non molto alto, il viso scavato, gli occhi che parevano febbricitanti. A parte un marsupio, non portava niente con sé. Per qualche tempo non ci furono contatti, al di dà di una rapida occhiata, un "riconoscersi". Arrivava il treno e ognuno di noi andava ad occupare uno scompartimento diverso.
Un giorno di particolare affollamento si sedette di fronte a me. Io leggevo, lui pareva contemplare una di quelle brutte stampe affisse sotto il ripiano dei bagagli. Al momento di scendere mi parve educato rivolgergli un saluto, a cui rispose a bassa voce.
Due giorni dopo lo ritrovai e, questa volta, scelse deliberatamente di sedersi nel mio scompartimento.
In genere sui treni leggo, ma se percepisco che qualche compagno di viaggio preferirebbe far due chiacchiere mi presto volentieri. Mi piace ascoltare gli altri, spesso mi fa sentire bene lo scambio di battute con viaggiatori sconosciuti.
Mi parve che G. avrebbe gradito un po' di conversazione ma che fosse troppo timido per iniziare. Così buttai lì qualche osservazione a carattere generale (non ricordo a proposito di cosa). Lui rispondeva a bassa voce e frasi brevi, con una voce vagamente nasale.
Ci presentammo, io raccontai brevemente del mio lavoro (lui non mi disse niente del suo), scoprii che G. passava spesso in bicicletta dal mio paese (a dire il vero, non ricordavo di averlo mai visto, e mai lo vidi dopo), che viveva da solo in un appartamento.
Alla ricerca di argomenti di conversazione più interessanti del tempo e del traffico, gli parlai di libri, di musica, persino, con cautela, di politica, ma pareva non gli interessasse nulla.
Alla stazione successiva entrò una persona e il nostro dialogo rapidamente terminò. Io ripresi a leggere, lui a concentrarsi sulla
stampa.
Contrariamente alle aspettative, lo trovai lungo il binario anche il giorno dopo. Mi salutò con una certa vivacità e, neanche a dirlo, si sedette di fianco a me, a mia volta posizionato accanto al finestrino.
Eravamo partiti da pochi minuti quando si allungò per tirare le tende. Ad un mio sguardo interrogativo rispose che la troppa luce gli dava fastidio. La cosa mi irritò, avevo tirato fuori un blocco note con appunti per un lavoro ed ero intenzionato a preparare alcuni schemi. E poi, la conversazione di G. non era granché. Comunque, feci finta di niente ed iniziai a scarabocchiare qualche grafico.
Poco prima di raggiungere la stazione successiva si alzò e tirò pure le tende della porta d'ingresso. Senza esserne richiesto, mi disse che così avremmo dissuaso i passeggeri che sarebbero saliti di lì a
poco ad entrare. Prima che potessi ribattere, si risedette ed iniziò a raccontarmi del suo giro in bicicletta del giorno prima, di come fosse ancora una volta passato per il mio paese.
Fu proprio mentre rispondevo con frasi di circostanza, seccato per
questo oscuramento imposto, che mi sfiorò la gamba, chiedendomi delle
mie preferenze in fatto di abbigliamento.

- Ma tu vesti sempre così classico?

- No, di solito preferisco i jeans, ma in questi giorni lavoro presso un cliente e mi è stato insistentemente suggerito di vestirmi come si deve.

- Ah, capisco. Sai, a me piace stare comodo. Per esempio, non ci crederai, ma mi trovo bene con mutande tipo perizoma. Le conosci?

- Credevo fossero tipicamente femminili
(ma di che va cianciando, questo?)

- No, no, ci sono anche da uomo. Sono comodissime, sai?

- Certo, certo...
(me lo immagino...)

Un po' imbarazzato, finsi di cercare qualcosa fra i miei appunti, nonostante la penombra. Lui non si diede per vinto.

- E a casa mi piace stare completamente nudo, avvolto in un accappatoio...

- Eh...
(che cazzo sta dicendo?)

- Ma... hai un orologio fantastico!

E mi prese più o meno delicatamente il polso desto (benché non sia mancino, ho sempre portato l'orologio a destra).
A questo punto avevo capito le intenzioni di G., ma la dannata cortesia mi tratteneva dal fare gesti bruschi per divincolarmi.

- Sì, me l'ha regalato la mia FIDANZATA

e intanto gli scostai la mano. Seguirono un paio di minuti imbarazzati. Nel frattempo il treno fece una fermata. Mi decisi in un attimo:

- Io scendo qui, oggi devo incontrare un consulente per quel
lavoro... be', insomma, buona giornata e alla prossima! Ciao!
Non ricordo se mi rispose. Scesi veramente dal treno e aspettai il
successivo, un'ora e mezza dopo, arrivando in ritardo.
Dopo quel giorno inizai ad aspettare il treno nella zona dei vagoni di testa. Le poche volte che incrociai ancora G. feci finta di non vederlo. Poche settimane dopo cambiai orari e non mi capitò mai più di incontrarlo. Di certo, non in bicicletta al mio paese.

mario



Fuga alla ricotta

Calabria, 1978

Eravamo in vacanza a Tropea quando ancora non si sapeva delle omonime cipolle. Le mangiammo là e le trovammo dolcissime, sorprendendoci. Qualche anno dopo le avremmo conosciute come "cipolle di Tropea". Ma questo non c'entra nulla con la mia storia.
Allora, eravamo in Calabria ed eravamo in sei: tre coppie di amici.
Mare, sole e relax.
Un giorno, causa il troppo sole preso e la pelle arrossata, decidemmo di prenderci una pausa dal mare e di esplorare l'interno. Partimmo in auto e facemmo un bel giro. Ad un certo punto (la fame iniziava a mordere lo stomaco) decidemmo di fermarci a comprare qualcosa per un picnic improvvisato.
C'era un negozietto sul lato della strada e ci sembrò ben fornito. Entrammo e lo trovammo, infatti, zeppo di cose buone. Comprammo di tutto: salame piccante, pane in quantità industriale, provola e altri formaggi, piccanti e non, stuzzichini, e infine la signora ci portò fuori e ci mostrò delle ricottine appena arrivate, freschissime, dentro deliziosi canestrini di giunco foderati da foglie verdi. Inutile dire che aggiungemmo anche le ricottine alla nostra gigantesca spesa. Gli uomini si accollarono il peso delle buste (che noi a Bologna chiamiamo 'sportine') e noi ragazze (beh, all'epoca lo ero davvero, una ragazza. ero giovanissima. comunque io penso ancora a me come ad una ragazza. a volte anche come ad una bambina ma sto uscendo dal seminato) ci occupammo di pagare il conto.
Dunque, disse la signora tirando le somme, sono quindicimila lire ( o giù di lì, non ha importanza. era il 1978). Ok, dissi io con il portafoglio in mano e allungando i soldi.
No, no, pagate pure a mio fratello dentro. Ok, andiamo dentro e cerchiamo il fratello, sempre con i soldi in mano. No, no, è mia sorella che si occupa dei conti, pagate pure a lei. Ok, ma cominciavamo a romperci i portafogli di girare avanti e indietro. Torniamo fuori: dice suo fratello di pagare a lei. No, dateli a lui. Ok, entriamo di nuovo, poi ci guardiamo in faccia: questi i soldi, mica li vogliono. Forse è meglio che andiamo via.
Uscimmo uno dopo l'altro con la certezza di non aver rubato. Noi volevamo pagare e ci abbiamo provato davvero, ma non c'è stato nulla da fare. Quelli i soldi non li volevano. Non vi dico la bontà di quelle ricottine e di quei panini pieni di ogni bendidio.

morena fanti


La fuga

Fuggiva senza inseguitori. Fuggiva ed in quel correre vorticoso fendeva l’aria fredda a finire della notte, i vapori della terra, le fronde degli arbusti, i respiri della nebbia. Il sudore scendeva in rivoli gelidi lungo le tempie le guance, la bocca, il collo proteso, la schiena in avanti. Le mani a pugno scalciavano colpi nel vento. Un ritmo di corsa, un soffio d’affanno. La fronte contratta in quella ruga traversa a spezzare la pelle ancora soda compatta. Sulla schiena uno zaino malandato, liso al cordolo di contorno e quasi vuoto. Dentro una borraccia, mezzo toast rosicchiato, un pacchetto di fazzolettini. Non aveva soldi con sé, né libretto d’assegni, né carta di credito. Non una chiave.
I piedi battevano un tempo veloce, le scarpe di marca consunte donavano ancora al polpaccio una spinta d’elastico molle. Pensava al momento dell’acquisto, era grato alla commessa del “Pentatlon”, brutta come uno scorfano, ma così gentile, che l’aveva brillantemente consigliato. Non aveva badato a spese allora, ma ora di questo acquisto era pienamente soddisfatto. Gli tornavano utili scarpe così. Robuste, leggere per correre in fretta, per chi non poteva fermarsi, per raggiungere il cielo in quel punto lontano.
Aveva bisogno di correre. Era un fatto vitale. Seminare ogni angoscia. I pensieri alle spalle non gli davano tregua. La moglie depressa, il capo villano. Uno stronzo perfetto da augurargli ogni male. Lo isolava dal gruppo dirigenziale, lo rapinava di idee, succhiava il suo impegno senza riconoscergli merito e soprattutto l’aumento. Aveva bisogno di quei soldi. Progetti grandiosi. Una barca: almeno otto metri, un appartamento più grande, cambiare l’arredo e un’ amante da sogno.
Gli piaceva sognare, scaricare nel sogno ogni tensione, la corsa batteva il tempo dell’immaginazione. Non c’erano inseguitori, solo la vita, nel suo solito scorrere, mordeva il suo cuore.
Alle sette, tra appena mezz’ora, avrebbe dovuto essere pronto: giacca, cravatta e davanti un’altra dura giornata da direttore.

alivento




















27 commenti:

Anonimo ha detto...

uh ma che belle storie..
poi se ci riesco ve ne racconto una anch'io.
oddio, non so..
magari te la mando via mail, ste, e decidi tu se metterla o no.
forse stasera, sennò domani, ok?

Anonimo ha detto...

No Gea, non ci sto, si va' in Instan book, in presa diretta, senza rete, tanto le tue storie sono sempre belle.
Scrivila direttamente nei commenti...
Didò

(perchè questo bloogle, questo bloggaccio non mi riconosce mai, sarà che ho fatto lo shampoo?)

Annalisa ha detto...

Oh, grazie della fine della storia e della fuga. Ero in ambasce :-)

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

@ ciccio, pardon didò
stupendo... Scusami ma mi sono davvero divertito!...il cinghiale nella foto..irresistibile!
Per opposte ragioni ma stessa fuga.
Anche noi dopo ci siamo rifugiati in una trattoria molto "normale" e eravamo felici come se fossimo scampati a chissà quale pericolo!
grazie.


@gea
non stare a sentire didò...siamo stati comprensivi con lui che ci ha lasciato con il fiato sospeso per quasi un giorno, lo saremo anche con te, cara sister :-)
ste

@annalisa
naturalmente grazie anche a te per la testimonianza, scusami se non l'avevo ancora fatto!
stefano

Francesco Di Domenico Didò ha detto...

@Annalisa,
troppo generico il tuo racconto, leggendo quello che scrivi, in casa tua, penso che tu sia in debito con noi (me e il socio Mina) di una storia più articolata, credevi di cavartela così, con una fuga dal bar?
Voglio vederti scappare, come le antilopi del Serengheti davanti al Re Leone... dai un'altra storia, tu puoi.
...
@Gea,
sto aspettando la tua storia...sarà romanzata, sicuramente non vera, tu sei una che non scappa, da niente.
...
@Stefano caro,
stavo pensando oggi: "'Sto cazzuto artistasuibinari s'inventa post davvero interessanti, questo è divertentissimo!"
Mi pongo una domanda: stai andando un po' in giro per blog amici a pubblicizzarlo?

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

@ mon chère didò
mah! ti dirò sarà per modestia -naturalmente falsa come il mio essere falso sovrappeso- ma no, non ho pubblicizzato niente... in realtà spero sempre nel buon cuore altrui, comunque non mi lamento da quando qualche gentile signora/ina e un paio di ragazzotti ( a proposito , lo sai che gregori è nato un giorno prima di me - lui il 12 io il 13 di dicembre - naturalmente di molti anni prima!) frequentano la mia stanza c'è stato un piccolo ma sostanziale incremento di visite.


@gea
sono stato comprensivo - ieri - oggi lo sono un po' meno: da dove sei scappata... dalla caienna?
siamo tutti in attesa! :-)))

buona notte a tutti questa volta ce l'ho io il turno! acc.
stefano

Anonimo ha detto...

@Didò: ehm, sì, mi rendo conto, ma le tre righe erano state la reazione immediata al racconto del padrone di casa. Mica pensavo che le avrebbe messe lì, in bella vista :-)
Ma prometto che ora penserò a una fuga in grande.

Anonimo ha detto...

:-)
la fuga di didò è bellissima.
mi auguro che tua moglie ti tenga ancora a freno con l'ombrello. se si è rotto gliene manderò io uno nuovo ;-)

scriverei anch'io una fuga, ma mi mancano le parole in 'sto periodo. ho solo ombrelli

Francesco Di Domenico Didò ha detto...

@Morena, ti amo,
finalmente qualcuno che parla bene di me, al posto di quel pagliaccione romano (sarà che il Greg non ha ancora intravisto il post Miniano, lui in 48 secondi scrive:" Fuga da via del Tritone, il giorno che venne a trovarmi Didò!").
@ Annelise,
senza cattiveria, ma t'ho punta sul sedere...
...
@ Stefano,
nei sei mesi in cui ho vissuto prima di Gregori ho pareggiato i conti con quello che lui avrebbe fatto nel futuro:" Oh, ma che bel bambino! Guarda le palline...che bel pisellino...ma che ci farai con quest'attrezzino (maledette zie, me lo stavano staccando; negli anni '50 una donna poteva toccarlo non oltre i sei mesi, anche perchè la nostra generazione è stata molto precoce e ad un anno non si poteva mai dire)?

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

@annalisa
dovresti oramai sapere che sono un vero farabutto!
comunque a me piaceva anche così stringato... però se ne mandi un'altra - di fuga- saremo tutti molto contenti :-))

@morena
lascia stare gli ombrelli che ancora non servono e datti da fare che qui a parte didò e stefano non scappa più nessuno


@ didò
mi sa che ste femmine sono proprio toste e non fuggono nemmeno davanti al diavolo...
...non è che la nostra generazione è stata così precoce da aver già dato quello che c'era da dare... ehi, ma io sono di quella successiva alla vostra!:-)
stefano

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

@tutti
è arrivata anche gea! Quando la fuga richiede coraggio...soprattutto a quella età, soprattutto in quel contesto!
grazie
stefano

Anonimo ha detto...

sono arrivata qui dal blog di gea ..e
ed è stato un bel arrivare!!
sìì molto
chicca

wilcoyote ha detto...

Elogio della fuga, e mi aspettavo profonde meditazioni, flussi di coscienza, acrobazie psicoanalitiche. E invece... molto meglio ;)

Il racconto di Stefano, da sbrago.
(anche a me è capitato di accorgermi dei prezzi e levare le tende, ma prima di essere avvistato dai camerieri).

La storia flash di Annalisa, una sorta di corollario della tua. Come campagnolo, mi immedesimo nella combriccola sconvolta dai prezzi milanesi!

Divertente e movimentato (rende molto l'idea della gita) il racconto di Francesco, a base di ombrelli, mogli giunoniche, osti della malora.

Più drammatica la fuga di Gea, raccontata nel suo particolare stile "autobiografico". In quegli anni l'eroina si diffuse più o meno in quel modo in tanti ambienti. Con tante vittime.

...posso raccontarvi una fuga anch'io?

Anonimo ha detto...

@ gea
il tuo racconto è duro e coraggioso. incide la pelle.

@ didò
attento a fare certe affermazioni. se sente tua moglie recupera l'ombrello :-)

@ stefano
vedrò se riesco a raccontare anch'io una fuga. va bene anche se non è autobiografica?

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

@morena
in questo blog non esistono regole ferree,in realtà non esistono regole... tranne quelle che decido io, democraticamente...in poche parole: scrivi quello che ti pare...basta che scrivi
ciao
ste

Anonimo ha detto...

ho lavorato tutto il pomeriggio di ieri per scrivere una storia (inventata) e poi stanotte mi sono ricordata che ne avevo una vera. ora te la spedisco. spero che tu possa tornare operativo molto presto. e oggi ci sono le votazioni su VDBD. che faccio? metto le tue di prima?...

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

@ tutti
purtroppo sono ancora in isolamento e la cosa strana e
è che con il mio palmare aziendale riesco soltanto a vedere e a commentare
il mio blog ... so che morena mi ha inviato via mail(la pagina di libero non si apre) una sua fuga... spero di farvela leggere al più presto. Sto aspettando ancora quello di mario... spero lo spedisca al più presto! Buona settimana a tutti quanti.
p.s. lasciate un segno, o voi che passate!

stefano mina
da alcatraz

Francesco Di Domenico Didò ha detto...

Stefano!!!!
Che succede? Dove sei? Ti mando il mio avvocato? e' un matrimonialista, si chiama Libero Dalla Casa, non è un granchè come avvocato, non è riuscito neanche a dividere due valve di cozze, ma nel tuo caso...meglio che niente.
...
Venerdi mattina parto per Milano (da Aversa 6.48)se ti trovi sul percorso vienimi a controllare il biglietto, io non sono un tifoso, lo faccio!
Ho un figlio adottivo congolese che domenica mattina prende i voti per diventare sacerdote, su a Tradate...bhe un po' mi commuovo: tu guarda che doveva succedere ad un vecchio mangiapreti comunista!

Francesco Di Domenico Didò ha detto...

Stefano, quando torni mi sostituisci i culi degli uomini con sederi di donne, anche se non fuggono va' bene lo stesso (anzi...).

Anonimo ha detto...

uffa, stefano... spero gli chiederai i danni, a quelli della banda :-)

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

ciao didò, ciao morena, purtroppo sono ancora in quarantena, ho già telefonato 5 volte...la penultima ero un pochino incazzato ma la signorina dall'altra parte mi ha "tranquillizzato" dicendomi: "pensi che andrà a stare meglio"... ma cosa mi fanno ,mi ringiovaniscono di 20 anni, mi dimezzano il mutuo...? mia cara signorina a me le dimensioni della mia banda andavano benissimo - certo aprire la pagina di maugeri era un po' una palla soprattutto quando si arrivava attorno ai mille commenti, ma per il resto con la mia utilitaria andavo benissimo...ma sentite questa:l'ultima persona con cui ho parlato, proprio questa mattina, mi ha promesso un sollecito e non ha escluso che avrei potuto avere la connessione anche questa sera...mah!- Ho pensato- sta a vedere che a forza di incazzamenti.... Invece alle 13e30 poco prima che uscissi per andare a lavorare drin... drin! suona il telefono ( poteva essere il campanello, no!) e una vocetta del cacchio mi chiede se lunedì sono in casa perché mi devono consegnare un nuovo router in cambio del vecchio... Il router? ma tutti quelli con cui ho parlato in questi giorni mi hanno forse preso per il culo???!!! da 9 giorni ogni due o tre ore ho provatola connessione , così come mi avevano suggerito di fare, e io pirla così facevo...." Vedrà le arriverà una mail di conferma... strano solitamente occorrono un paio di giorni,ci vorrà ancora qualche giorno ancora... Comunque lei provi ogni tanto...ecc." non c'ho visto più mi sono infilato nel filo del telefono e ho fermato la mano dell'operatrice che tentava di chiudere la communicazione e le ho svuotato sopra un container di incazzatura... Lei ha incassato senza battere ciglio, manco fosse stata jack la motta e ha chiuso, dopo essersi liberata dalla mia ferrea presa con un " mi dispiace ma io devo solo consegnare, per altre lamentele lei deve telefonare a ...." Basta, cazzo non è possibile, ognuno di voi lavora a compartimenti stagni e noi utenti con chi cazzo ce la prendiamo?..."insomma lo ritira, o lo rifiuta.... arrivederci lunedì ... No, non le so dire l'ora..." click!
ciao ragazzi e scusate ma sento il fischio del treno ...
P.S. Mi dispiace didò ma domani sono di riposo... No,non mi dispiace perché non lavoro ma perché le probabilità di controllarti il biglietto sono circa dello 0%... Comunque ti auguro una bella giornata con il tuo ragazzo... Mangiapreti, mangiabambini... Ma se sono quasi vegetariano! Mi basta un etto di mortadella ogni tanto!
Ciao, a lunedì - spero!-
Stefano mina,indifeso utente italiano.

Anonimo ha detto...

Ciao Stè, ti avevo avvisato...ma sei stato comunque più fortunato. A me avevano comunicato l'assenza della linea per qualche ora senza avvisare comunque che ci voleva un nuovo router. Sono stata ben 21 giorni senza Internet e ho telefonato (sempre a pagamento perchè la telefonata era di competenza dei tecnici, a sentir loro) numerose volte e mi hanno risposto che la mia lamentela era stata notificata e che avrebbero fatto un sollecito.SEEEEEEEEEE TUA SORELLA! 21 giorni in attesa e poi un giorno arriva la telefonata da non so quale corriere (non c'ero in casa) "venerdì le portiamo il nuovo router, non sappiamo a che ora". Sono stata chiusa in casa tutta e ripeto tutta la giornata (per chi ha un lavoro da dipendente è assolutamente pazzesco ed impossibile) e non si è presentato nessuno. Quindi ulteriori 2 giorni senza internet, poi il lunedì mattina Linda era in casa (per pura fortuna!) e hanno consegnato il nuovo router. Ah devi riconsegnare il tuo, probabilmente non te lo hanno detto. Il fatto è che a quelli non gliene può fregà de meno, anche se ti incacchi come un cinghiale quelli non ti ascoltano e ti dicono solo la frasina scritta o imparata a memoria. GOOD LUCK and RELAX che ci rimetti solo ed unicamente tu....mmmm che diano anche a me questa succulenta possibilità??? Ti saprò dire, lo capirai dalla striscia di bava che faccio dall'incazzatura. Beso* Lucy P.S. Quel mese ho pagato solo il periodo in cui ho usato internet.......ma anche tutte le telefonate che ho fatto all'assistenza tecnica...morale della favola ALLA FINE HO PAGATO PIù DELLA TARIFFA MENSILE, tiè ciapa!

Anonimo ha detto...

che palle. io ho la conessione a 56k (abito in un luogo dimenticato da dio e quasi non mi dispiace).
un giorno mi telefona tiscali e mi fa: la vuole l'adsl? certo che la vorrei ma qui non siamo serviti.
e lei mi fa da oggi sì.
ma è sicura?
sicurissima.
morale: mi fa un contratto telefonico del cavolo con tutta la registrazione della mia voce (quelle cose che suonano tanto di illegalità)
io dovevo comprarmi il nuovo modem, che per fortuna non ho preso.
nel giro di pochissimo avrei avuto l'adsl.
passa un mese e niente.
allora telefono e una signorina mi fa: la sua pratica è stata archiviata perché la sua zona non è servita.
ecazzo, ve l'avevo detto, no?
e quando aspettavate a dirmelo? e se avevo acquistato il modem?
hai capito, loro se le fanno e se le raccontano e poi non avvisano se archiviano la pratica.
da allora tutte le volte che suona il telefono, fosse anche un editore (!) dico non m'interessa, grazie.
coraggio, stefano :)

Anonimo ha detto...

uffa.
devo rivolgermi al tar?

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

@ morena
io avevo pensato ad un TIR ma poi dopo l'ennesima telefonata.... pensa che l'ultima balla è stata che non trovavano l'indirizzo per portarmi il nuovo router... mah! ( chissà se gea vuole i diritti... la prossima volta - per sicurezza- userò bah!)... ho letto il tuo racconto: e brava la nostra furbacchiona... come siamo bravi a giustificare le nostre azioni, eh? tra l'altro mi hai fatto venire un po' di appetito... vado a mangiarmi un paio di olive che mio figlio mi ha portato da alberobello.... le ha pagate, lui!
ciao e grazie per non avermi abbandonato.
stefano

alivento ha detto...

Stefano, gentilmente, in sest'ultima riga vuoi aggiungere una "g" a riconoscerli.

Grazie.

Stefano Mina "un onesto pittore riminese" ha detto...

@alivento
fatto!
ciao