domenica 6 settembre 2009

biciclette!


ieri sera ho rivisto con amici il bel film di mike leigh "happy go lucky"; all'inizio del lungometraggio alla protagonista rubano la bicicletta e lei come unica reazione, senza neanche prendersela troppo, dice:" nooo! non è possibile, non ci siamo neanche dette addio! bisogna proprio essere positivi per reagire così, non trovate?
Se ricordo bene, ogni volta che mi è successo una cosa del genere, dopo un primo istante di smarrimento, di stupore, facevo tremare le galassia con il lancio di alcune maledizioni che facevano apparire innocue persino quelle di alex drastico
Pensate che io stia esagerando? In fondo si tratta soltanto di una bici, che sarà mai?
Soltanto una bici, che sarà mai? ora ve lo spiego:

la mia famiglia composta da 4 persone ha sempre posseduto una sola automobile, l'ultima aveva compiuto 19 anni prima di essere stata rimpiazzata con una più giovane (che ci volete fare, succede, no!?) e nessun motorino, perciò capirete l'importanza che la bicicletta assume in tali circostanze,... beh, per farla breve vi faccio un elenco delle "ragazze a cui non ho potuto dire addio"; ad essere sincero alcune le abbiamo anche ritrovate ma in un tale stato che abbiamo preferito non chiedere alcunché su quello che avevano subito... sapete, solo il tempo può - a volte - se non cancellare del tutto almeno mitigare certi dolori!

La prima è stata una mountain bike di fabio, regalata dal nonno ceschi, rubata mentre dormiva, proprio nel ripostiglio sotto casa: era bellissima, semi artigianale, un pezzo unico... il dolore è stato immenso, non l'abbiamo più rivista. Poi c'è stata la "rossa", da corsa, che di cognome faceva bianchi... me l'aveva regalata alfonso. Nonostante fosse già avanti con gli anni con qualche ritocco e tanto affetto, faceva ancora la sua bella figura e chi la incontrava non perdeva l'occasione per " farle il filo"... no, no, so cosa pensate, non è stata una fuga d'amore, è stata rapita, ne sono sicuro, a casa non le mancava niente e poi dopo tutto quello che avevamo fatto per lei sarebbe stata davvero ingrata! Un giorno, in pieno centro, ad un amico è parso di riconoscerla "se non era lei le rassomigliava parecchio" mi disse. Dopo aver fermato e gentilmente aggredito il baldo giovane che le stava in sella, dovette rinunciare al recupero per mancanza di prove concrete, nonostante le vaghe risposte e l'atteggiamento sospetto dell'individuo.
Poi fu la volta della vecchia mounty che però in quella circostanza se la cavò, nonostante la feroce aggressione e qualche sevizia. L'ho trovata, un mattino dopo una notte di lavoro, ferita e dolorante accanto all'albero dove l'avevo assicurata, senza una ruota, con le forcelle infilate nel fango: tremo ancora ripensando alla paura e al dolore che avrà dovuto subire!
Per la povera "vecchia mounty" quella non era stata l'unica triste esperienza in cui era dovuta incorrere durante la sua lunga esistenza - la prima volta che l'ho vista, se ne stava malconcia e sola accanto ad un bidone dell'immondizia - ma purtroppo aveva dovuto subire diversi oltraggi prima di scomparire definitivamente, due anni fa: un giorno avevano forzato il lucchetto e dopo averla usata l'hanno riportata poco più in là dove l'avevo lasciata; un'altra volta l'ho trovata senza sella e vi assicuro che non è affatto piacevole pedalare per alcuni chilometri, dopo una giornata di lavoro, senza poter appoggiare i glutei sulla morbida poggia-chiappe che pochi giorni prima le avevo acquistato. Ricordo, durante il tragitto di essere quasi caduto, piombando rovinosamente sopra il cofano di un'auto della polizia che nonostante le mie scuse bofonchiate e uno ostentato sorriso, non parve gradire del tutto.
Ma la cosa più strana e assurda che le è capitata è stata rubarle i morsetti dei freni.
Piccola cosa, direte voi, di poco conto ma vi assicuro molto pericolosa... soprattutto per me.
Dopo alcuni chilometri pianeggianti, prima di giungere a casa c'era da fare una breve ma ripida salita e successivamente una bella discesa dove a metà dovevo svoltare a sinistra; naturalmente in quell'istante occorreva frenare energicamente per compiere l'operazione: vi lascio immaginare la sorpresa nell'accorgermi che la mia bicicletta era completamente sprovvista di freni... fortunatamente non c'era macchine così dopo una piccola e istintiva sterzata mi sono riportato in linea retta fino a giungere nella zona nuovamente piana e con i piedi frenare.
Non vi dico lo stupore!

Ci sono state quelle di cinzia: La prima, una "olandese" che faceva coppia con la mia da uomo, acquistata subito dopo il matrimonio, pesante ma molto elegante, rubata tanti anni fa in stazione, non ricordo i dettagli; la seconda è invece stata trafugata in pieno giorno, durante il pranzo, all'interno del complesso dove abitiamo ma ritrovata, miracolosamente, alcuni giorni dopo in uno stato pietoso, poco distante da casa mentre facevamo una passeggiata, accasciata e malconcia contro una siepe. Non abbiamo mai saputo cosa le fosse realmente accaduto e abbiamo preferito non fare troppe domande. L'abbiamo aggiustata, rimessa a nuovo ma ad essere sinceri, non è più stata quella di prima.
L'ultima è stato il mio più fedele destriero, la grigia martini; sportiva, lesta e robusta con cui avevo battuto ogni genere di strada e con qualsiasi tempo.
Aveva due ruote con raggi rinforzati che davano garanzie assolute; non c'erano, strade sconnesse marciapiedi che lei temesse... ah! se ci ripenso provo ancora un grande dispiacere nonostante siano passati diversi anni dalla sua scomparsa.
In quel periodo fabio se ne serviva per andare in stazione quando ancora frequentava il conservatorio a pesaro. Quel giorno l'aveva legata assieme a quella di alice, unite in un unico abbraccio. Al loro ritorno, alla rastrelliera restavano solamente i cavi d'acciaio tranciati di netto: un lavoro da professionisti! Lungo la strada verso casa decisero di deviare verso il grattacielo e di dare un'occhiata lì attorno con la speranza di ritrovarle, scelta parzialmente fortunata visto che almeno la bici di alice fu rinvenuta. Carichi di ottimismo per il successo ottenuto continuarono le ricerche allargando il raggio d'azione ma niente da fare, della vecchia "grigia" nessuna traccia, purtroppo!
Egoisticamente ho sempre pensato, non senza una punta di vergogna: ma perché non è successo il contrario, non potevano ritrovare la mia?
Ecco questo è tutto.
5 biciclette in tutto sono scomparse dalla mia vita, vi sembrano poche?

Mentre scrivo queste righe nonostante io abbia mascherato il mio dispiacere con qualche frase ironica devo ammettere che provo un filo di tristezza nel ricordare tutte questi velocipedi che ora non ci sono più, questi semplici oggetti che hanno scandito il nostro tempo, le stagioni della vita di questa nostra piccola comunità che è la nostra famiglia,
E' vero, forse esagero ma a volte semplici manufatti acquistano un valore che va ben oltre il loro essere solamente cose, un valore che noi diamo loro, è vero, ma non per questo meno importante, non credete?

stefano



sabato 29 agosto 2009

La finestra sul cortile/2


l'anno scorso avevo pubblicato un post dal titolo "la finestra sul cortile"... beh, ci sono alcuni aggiornamenti da fare. Dopo un anno di probabile palestra, il nostro uomo si esibisce con maggior frequenza - vista la merce da mostrare - con o senza partner, ma rispetto a prima ha aggiunto - durante le performance in coppia - anche il sonoro, che ad essere sinceri, mancava.
Veniamo informati così, caso mai fossimo distratti, dell'inizio delle riprese e devo ammettere che ora lo spettacolo è davvero soddisfacente.
Avevo sentito diversi modi di gemere (sì, lo ammetto la mia è una vera passione) dal ih,ih,ih, simil criceto al aaaaagh leggermente sussurrato, all'ansimare cavernoso dell'orso in letargo ma mai avevo sentito il lamento del lupo abbandonato: davvero straziante... Ho pensato più volte di correre in suo soccorso ma finora ho sempre desistito. Di solito lo spettacolo va in scena dalla mezzanotte alle due, di solito.
Questa mattina, alle 4,45 circa mi alzo per andare al lavoro, scendo le scale e vado in bagno. Accendo la luce e mentre cerco, non senza difficoltà, di riconoscere la maschera che mi fissa nello specchio, sento un lamento terrificante "che cazzo...?"
un brivido mi scorre lunga la spina dorsale madida di sudore "qualcuno sta male, che sia quel poveretto dell'angolo che pare sia depresso..." tendo l'orecchio e mi pare di sentire una sorta di singulto sommesso, poi silenzio.
Finisco di vestirmi e scendo le scale meditabondo (il termine forse è oramai desueto ma mi pare sia calzante per la circostanza) ma appena giungo nel cortile la matassa improvvisamente si dipana: tre finestre al secondo piano, di fronte alla mia palazzina, sono illuminate a giorno, nel buio di un'alba che - ora - tarda ad arrivare, e posso senza alcuna difficoltà scorgere il nostro "piedi a papera" che gironzola tranquillo da una stanza all'altra come mamma lo ha fatto (devo dire che lo ha fatto davvero strano) con una disinvoltura davvero invidiabile... sembra impossibile che fino a poco prima soffrisse così tanto.
Vado al lavorare sollevato

venerdì 21 agosto 2009

con gli occhi bassi

dall'altra stanza mi arriva l'annuncio dell'ennesima tragedia annunciata
non voglio ascoltare, non mi interessano i dettagli
non voglio ascoltare, ma non è indifferenza, anzi
è solo la paura di essermi assuefatto a questo genere di notizia...
altri 70 morti, di quelli senza un volto, senza occhi
di quelli di cui non vogliamo sapere niente
delle loro vite, dei loro sogni delle loro miserie...
altrimenti come faremmo a sopportare tutto questo
come faremmo a dimenticare in fretta
e a tornare - più o meno tranquilli - alle nostre piccole beghe quotidiane
se incontrassimo i loro sguardi carichi di speranza
se sentissimo palpitare i loro cuori con lo stesso ritmo dei nostri
se fossimo sfiorati dalle loro mani tese
oggi, altri 70 morti, poco più di qualche titolo di giornale
ma domani?
chissà se verrà un giorno in cui ci vergogneremo
del nostro silenzio, della nostra perduta indignazione
chissà se quel giorno qualcuno ci chiederà:
ma come potevate non sapere e soprattutto, come potevate tacere?
non credo, allora, che basterà dedicare una piazza, una via per alleggerire il nostro senso di colpa, il mio senso di colpa?

Questa mia impotenza mi fa paura

stefano



sabato 1 agosto 2009

le cose cambiano, gli uomini meno

Sul blog di Remo Bassini sta per giungere a conclusione un concorso a quattromani che quest'anno aveva per tema "l'Italia di oggi".
Certo l'argomento era davvero interessante perché i cambiamenti nel nostro paese, sono stati talmente tanti e così stimolanti da dare modo ad ogni attento osservatore, di cogliere, storie aneddoti, situazioni che avrebbero potuto dare un'idea chiara di come la nostra bella Italia si sia trasformata in questi ultimi anni.
Nel mio caso le cose da sviluppare erano talmente tante che non riuscivo a focalizzarne una per poi costruirvi sopra un racconto e così non ho partecipato "tradendo" così la mia cara amica Morena con cui avevo già piacevolmente collaborato in altre occasioni... ma d'altra parte se non si ha niente da dire, spesso è meglio tacere, no?
Ho fatto questa premessa perché vorrei raccontare un paio di episodi( veri) a mio parere, molto significativi riguardo alla trasformazione del nostro vivere quotidiano, anche se personalmente penso non si tratti di un vero cambiamento, ma solamente della fuoriuscita di "qualcosa" di latente che molti hanno finalmente deciso di liberare ( purtroppo), consci di quanto il momento sia propizio e che in fondo, per "dire quello che uno pensa" non occorra poi tanto coraggio, oggi, visto che si è in buona compagnia.


M. ritornava in Italia dopo un breve periodo trascorso all'estero con L. l'amico di sempre. Il ritorno per lui era sempre particolare perché mentre le partenze lo proiettavano verso qualcosa di stimolante, di rigenerante il ritorno lo riconsegnava a periodi spesso di monotona attesa e di continue e tristi conferme per chi come lui cercava di costruire le basi per un futuro apprezzabile; ogni volta sperava di trovare qualche cambiamento, naturalmente positivo, ma puntualmente veniva disilluso. Appena usciti dall'aeroporto i due si misero a cercare un mezzo per andare alla stazione e dopo alcune valutazione decisero per un taxi: 10 euro in due era un prezzo decente.
Mentre l'autista caricava i bagagli, L. da persona gentile quale era volle dargli una mano. Malauguratamente afferrò una delle valigie contemporaneamente all'energico tassista che in modo brusco se ne uscì: "ma lo capisci o no che se io tiro di qua e tu tiri dall'altra parte non si combina niente!?
A L.- forse colto alla sprovvista - non rimase che accennare uno stentato sorriso e senza dire nulla, salire sull'auto.
Ma fu durante il tragitto che il nostro amabile uomo decise di mostrare il meglio di se.
Come una mitraglia tirò fuori una serie di argomenti che ne delinearono ben presto la personalità. Cominciò ad inveire contro gli anziani "che per fortuna a quell'ora non erano in giro", nonostante lui dimostrasse una sessantina d'anni, "se ne devono stare nei loro circoli, negli orti oppure a fare qualche lavoretto del cazzo, vabbé che con tutti gli extracomunitari che ci sono in giro, che glieli fregano tutti - i lavori - e poi quelli mica pagano le tasse, mica come noi italiani... questi vengono qua e vogliono comandare, mica si adeguano, vogliono farle loro, le regole, e poi non si può più stare tranquilli che ci stuprano pure le donne (e già, quello deve essere innanzitutto un nostro diritto) meno male che c'è berlusconi che con bossi, le sistemano loro le cose... e via infilando uno dietro l'altro, tutti i luoghi comuni, come fossero perle di una saggezza lievemente insaporita da quel "sano razzismo" che più viene esternato più viene sottovalutato e tollerato dalla maggior parte dei nostri amabili concittadini.
Mentre L. cercava inutilmente di interloquire con il simpatico e gentile conducente, M. se ne stava girato di lato cercando di guardare - ma senza riuscirci - attraverso il finestrino dove scorrevano immagini cittadine. Il disagio era forte ma egli confidava sulla brevità del percorso. Purtroppo non abbastanza.
Sentiva la rabbia salire, non solo per quel che quell'idiota diceva ma perché si rendeva conto che mentre un tempo, prima di fare certe affermazioni, uno ci pensava due volte, per il timore del giudizio altrui, ora invece era sempre più diffuso questo esternare qualsiasi nefandezza, probabilmente perché buona parte delle persone lo facevano convinti di trovare assoluta complicità...
Ad un certo punto dopo l'ennesima esternazione non ce la fece più a rimanere impassibile e con voce calma ma inequivocabile disse: "ora basta, la prego di smetterla; sono appena ritornato e lei dopo dieci minuti è già riuscito a farmene pentire. Non ho nessuna voglia di ascoltare ne di rispondere ai suoi sproloqui razzisti di merda, d'accordo?"
"Tra l'altro cosa le ha fatto minimamente pensare che noi potessimo condividere queste sue farneticazioni, c'è forse qualcosa in noi che glielo ha fatto credere oppure è davvero certo che tutti oramai siano come lei, pensino come lei?"
Fortunatamente erano oramai giunti a destinazione; dopo tanto clamore, un silenzio irreale aveva creato una situazione davvero imbarazzante. Scesero rapidamente dall'auto e dopo aver pagato, presero le valigie. M. anticipò il tassista e agguantò la sua e guardandolo diritto in faccia aggiunse in modo più o meno ironico: "comunque la ringrazio per la lezione, d'ora in poi saprò come ci si comporta con una una valigia"
Entrarono in stazione.
In lontananza parve loro di udire alcune parole a loro indirizzate non proprio "carine" che finivano tutte in nisti, onzi, ulo , ma non ci fecero particolarmente caso.


la seconda storia è molto più breve:

Un tardo pomeriggio, dopo una bella nuotata e un poco di riposo in una delle poche zone libere della riviera, ce ne stavamo tornando a casa. Stiamo ancora armeggiando con i lucchetti delle nostre fedelissime bici quando veniamo attratti da una situazione alquanto particolare: un africano di mezza età con il suo bel abito tradizionale di colore azzurro sta correndo, svolazzando come fosse inseguito da qualcuno. Attraversa l'incrocio e sale sul marciapiede dalla parte opposta; improvvisamente si abbassa e si infila sotto il tavolo, tra le gambe di quattro turiste intente a sorseggiare un aperitivo; le donne dopo un primo momento di visibile stupore decidono di stare al gioco e fanno finta di niente, probabilmente perché hanno intuito quello che sta accadendo.
Di lì a poco si avvicina un'auto della polizia ad andatura molto bassa, come se stesse cercando qualcuno. Al tavolo le "straniere" continuano a chiacchierare come niente fosse, con le gambe così ravvicinate da formare uno steccato. Pochi istanti dopo non riscontrando niente di anomalo le forze dell'ordine riprendono la loro corsa.

Alcuni giorni fa su un giornale quotidiano, delle bagnanti esternavano tutto il loro disappunto per aver assistito ad una retata da parte delle forze di polizia nei confronti dei cosiddetti abusivi ; erano rimaste sconvolte dall'atteggiamento particolarmente aggressivo e si domandavano dove fosse finita la tolleranza, l'umanità.

Ora io non voglio assolutamente puntare il dito sulle forze di polizia che sicuramente devono eseguire delle direttive, ma mi chiedo, da cittadino, se siamo davvero convinti che questa caccia alle streghe, questo atteggiamento nei confronti di persone che per sopravvivere sono costretti a vendere le loro "cianfrusaglie" o a chiedere qualche spicciolo, risolverà i nostri problemi... non è ridicolo che in una città come la nostra dove è oramai palese che buona parte della ricchezza - di molti - è stata costruita eludendo e frodando il fisco, ci si accanisca contro dei poveri cristi come fossero l'emblema dell'illegalità.
Per favore siamo seri.


lunedì 20 luglio 2009

Un uomo, una matita, tre formiche una tartaruga e una lepre

Quanta ostinazione, quanta determinazione c'è in quella formica nel cercare una via di fuga, nel proseguire la sua corsa. Sadicamente cerco di impedirglielo ostacolandone il cammino con la mia matita e appena lei vi si arrampica, riporto il lapis nella parte opposta dove l'insetto laborioso e testardo - aggiungo io - stava andando, ma questo non la ferma di certo e perciò un istante dopo riprende nella medesima direzione imperterrita. Continuo nel mio perfido passatempo ancora alcune volte ma poi finalmente rinuncio. Sono certo che se avessi insistito ancora lei non si sarebbe arresa.
A volte ho la sensazione di essere così simile a lei in questo mio ostinato tentativo di voler scrivere, scrivere, scrivere qualsiasi cosa: racconti, riflessioni magari un giorno un libro, chissà! Il perché rimane per me un vero mistero.
Lei, la formica, probabilmente un sano e valido motivo ce l'avrà sicuramente per essere così caparbia, ma io, come la giustifico questa mia strana pulsione che pare essere a volte autentica follia? Onestamente, non ho la minima idea di cosa spinga uno come me, uno che non ne ha certo i requisiti fondamentali a continuare a salire e a scendere da quella "matita" che ogni volta intralcia il fluire del mio cammino costringendomi a sforzi innaturali.
"Ad ognuno il proprio mestiere" mi aveva detto una persona a cui avevo chiesto se la torta che stavo gustando l'avesse cucinata lei...
E già, io non sono uno scrittore, scrivere non è il mio "mestiere".
L'arte dello scrivere non mi appartiene, non possiedo il fuoco sacro; forse appena appena il flebile chiarore della lucciola che però necessita del buio più totale per essere visto.
Le parole sono lì, in un enorme cesto a mia disposizione, così come lo sono per chiunque altro, un enorme vocabolario a portata di mano, al mio servizio. Ma quando si tratta di pescare, di scegliere quelle giuste a me capitano solo quelle più banali, quelle più scontate... e pensare che a certi scrittori, pochi per la verità, basta mettere la mano nel sacco e tirane fuori dei vocaboli, dei concetti che ti lasciano a bocca spalancata e mentre sei lì con l'aria che ti solletica l'ugola pensi: "ma come è possibile questo miracolo?"

Se fossi furbo mi sarei già arreso da tempo, altro che ostinarsi ad andare contro natura, a far finta di non sapere che solamente nelle favole di Esopo o di La Fontaine la tartaruga giunge prima della lepre; nella realtà alla tartaruga non gliene importa niente di mettersi in competizione con quell'animale dalle lunghe orecchie, che corre zigzagando nei campi arati con la velocità della saetta, senza alcuna apparente fatica. La tartaruga si accontenta di qualche metro di verde dove potersi gustare delle deliziose e tenere foglie di tarassaco, sgranocchiando qualche lumaca e sorseggiando goccioline di fresca rugiada. Altro che mettersi a correre!
In natura per l'appunto, ognuno sa qual'è il proprio posto, il proprio "mestiere".
Ma d'altra parte, è anche vero che da molto, troppo tempo ormai l'uomo si disinteressa totalmente delle leggi naturali, anzi sembra quasi che si diverta a contrastarle, a manipolarle...

" Basta!" Con fare deciso mi alzo di scatto dalla sedia, mi infilo un paio di tennis e mi dirigo alla porta: "meglio far due passi"
Esco fuori, l'aria stuzzica le narici tanto è frizzante, respiro per immagazzinarne un po' e mi avvio, senza meta, così come piace a me.

La matita è rimasta sul tavolo. Ora le formiche che avanzano spedite sono tre, forse la stessa di prima con due compagne. Durante il tragitto si trovano nuovamente quel tronco a sbarrar loro la strada ma questa volta - probabilmente memore dell'esperienza precedente - la formica di testa cambia tattica e invece di arrampicarsi sull'ostacolo decide di aggirarlo seguendone il perimetro, compiendo così una piccola e insignificante deviazione che però non le ha certo impedito di continuare il viaggio verso un mondo, ancora tutto da esplorare.

stefano



domenica 28 giugno 2009

una giornata come tante

Oggi nel cielo c'è un filino di sole. Alcune nuvole sediziose si stanno radunando in un assemblea non del tutto legittimata - visto il periodo stagionale - ma per ora sembrano ancora poche per destare preoccupazione così - cinzia ed io - decidiamo di approfittarne per una breve passeggiata in direzione del bar dove seduti ad un tavolo sorseggeremo un buon caffè, fumeremo la prima sigaretta della giornata leggendo quotidiani ( troverò qualcosa che mi farà incazzare?)... la nostra buona dose di veleni giornalieri con l'aggiunta di una saccottino con crema e mele.
Bella la vita, eh?
Ma tanto lo so come va a finire, mi conosco oramai abbastanza bene per sapere che è proprio quando tutto sembra procedere sul giusto binario che certi pensieri mi si insinuano in quella massa aggrovigliata che è il mio cervello.
Infatti.

"cinzia ma ci pensi, giornate come queste, cariche di luce, con questa aria satura del profumo delle piante, c'erano anche quando - alcuni anni fa - uomini donne e bambini venivano prelevati dalle loro abitazioni per essere privati della "loro" libertà e della "loro" vita, quando zingari, omosessuali, ebrei venivano deportati nei campi di concentramento senza nessun motivo solo per odio razziale, spesso alla luce di questo splendido sole mentre gente come me, come te, sorseggiava caffè, chiacchierava, senza grossi problemi; persone comuni, con la pancia relativamente piena, non del tutte ignare di quello che stava accadendo loro attorno, persone sensibili che nonostante fossero coinvolte emotivamente non facevano nulla, per paura di perdere quel loro poco benessere, quella loro pseudo-libertà (come ci si può definire liberi in un mondo dove avvengono certe orribili cose) e si limitavano a provare un umano raccapriccio unito ad una celata partecipazione emotiva e nulla più..."

Cinzia mi guarda, condivide ma siccome mi conosce rimane in silenzio

"...non sta accadendo qualcosa di simile anche oggi? Cosa stiamo facendo di concreto, a parte emettere sordi lamenti (a cui nessuno presta più ascolto), per chi perde il posto di lavoro, per chi ci muore sul posto di lavoro perché qualcuno non rispetta le regole elementari di sicurezza, per chi è vittima di aggressioni a sfondo razziale, per chi muore mentre sta cercando disperatamente di migliorare la sua vita intraprendendo un viaggio che spesso conduce alla morte, e non solo per colpa di "eventi naturali sfavorevoli"; come mai la nostra indignazione si esaurisce in timide proteste spesso ipocrite e non capiamo che quello che riguarda gli altri riguarda tutti noi, come possiamo accettare di vivere in un mondo, egoista, cieco e indifferente limitandoci a prenderne atto e a farlo diventare solamente un misero ed eterno confronto dialettico come se l'unica cosa importante fosse dimostrare il proprio punto di vista. E' possibile che abbiamo perso tutti quanti gran parte della nostra umanità per paura di perdere quello che qualcuno ci ha spacciato per libertà, per progresso, per benessere!?
Su chi ricadranno le colpe delle conseguenze di questo stato di degrado socio- culturale che da tempo ci attanaglia, su chi le ha provocate o su chi non ha fatto nulla per contrastarle (e i cosiddetti intellettuali,dove sono, perché tacciono?), pur essendo consapevole di quello che stava avvenendo?"

Sopra di noi il cielo è terso, le nubi sono scomparse... chissà dove sono finite?

Buona domenica


p.s. queste domande le rivolgo soprattutto a me probabilmente per cercare di smuovere questo senso di impotenza che spesso mi opprime... forse cercare di cambiare il mondo può sembrare un poco presuntuoso ma non fare nulla per tentare neppure di migliorarlo di renderlo più vivibile, come lo si può definire?

pp.ss. due notizie - tra le altre - che mi hanno fatto incazzare le ho trovate in un giornale locale:
1) per la seconda volta hanno dato alle fiamme la giostra di una signora, sua unica fonte di sostentamento, perché?
2) una lettera provocatoria ironizzava sul fatto che i pacifisti non stanno facendo nulla riguardo a quello che sta accadendo in iran... " alle finestre vedo solamente gerani rossi" concludeva

stefano


giovedì 11 giugno 2009

ehi, c'è qualcuno?



se qualcuno di voi il 19 e il 20 giugno, per caso, si trovasse a passare da rimini mi farebbe davvero piacere incontrarlo presso la piccola ma gradevolissima galleria A di gianni scarpellini durante la breve esposizione che mi vedrà protagonista assieme a franco pozzi...così per una stretta di mano e un abbraccio

comunicato stampa:

Per due giorni, venerdì 19 e sabato 20 giugno, nello spazio espositivo A di Gianni Scarpellini, vicolo Pescheria 6 a Rimini, la mostra la notte, la polvere, il sonno vedrà dialogare due artisti riminesi, Stefano Mina e Franco Pozzi, con due cicli di lavori recenti.

Mina, che espone alcuni acrilici della serie inedita penombre, sembra chiedere allo spettatore di rallentare il proprio ritmo, permettersi una sosta sull’infinitesimale, sulle meraviglie del quotidiano. Da un’apparente pittura aniconica emergono elementi reali appena percepibili (una marina, una strada alberata nella nebbia, una selva in scorcio ravvicinatissimo) tutti giocati in un’atmosfera notturna, di sogno, quasi ‘belga’. Non a caso Mina medita da tempo sul lavoro di un grande ma poco conosciuto artista come il visionario Léon Spilliaert.

Pozzi ricompone in un’installazione pensata per il luogo alcuni ‘frames’ dal ciclo in girum imus nocte et consumimur igni, giriamo di notte e siamo consumati dal fuoco, una fitta trama di segni ottenuta per ‘sottrazione’ stingendo con la varechina la carta velina nera. Disegni palindromi (leggibili cioè in maniera speculare da sinistra a destra e viceversa) così come il titolo, omaggio a Guy Debord.
Egli con queste ‘tessiture’ dichiara riferimenti assai lontani nel tempo e nello spazio, dall’attrazione per la rappresentazione dell’universo peculiare dei tappeti orientali all’amore per le architetture di Gaudì e Borromini.

La mostra, che inaugura venerdì 19 alle 18, sabato 20 rimarrà aperta dalle 10 alle 12,30 e dalle 16,30 alle 19,30. Per informazioni 339/8903981


stefano



venerdì 15 maggio 2009

boh!!!

Non sono scomparso. Sto solo riflettendo ( parola grossa) sul senso di molte cose - compreso fb e questo blog - ma non è detto che nonostante lo sforzo le nubi si diraderanno. Nel frattempo preferisco tacere per un po', così alla fine della veglia mi guarderò attorno e farò una botta di conti.


lunedì 4 maggio 2009

un trio più un ospite inatteso


Non voglio raccontare nulla del concerto di ieri sera; d'altra parte come si può "raccontare" la musica, descrivere sensazioni, trasmettere emozioni che solo standoci dentro -al suono - puoi veramente provare. Non voglio e non posso descrivere quello che tre musicisti - che non avevano mai suonato ne provato assieme - sono riusciti a fare in uno splendido tardo pomeriggio ad onferno, su un tappeto d'erba e come unica scenografia la folta chioma degli alberi che giganteggiavano loro attorno. Non voglio parlare di come gli strumenti siano partiti lentamente, sgocciolando piccole note che si rincorrevano timide, quasi a voler far conoscenza, per poi crescere sempre più fino ad abbracciarsi in un unisono vorticoso di musica che riempiva l'aria e il petto. No, non voglio far niente di tutto questo perché sarei sicuramente impreciso e ogni parola "suonerebbe" povera ed inutile.
Quali parole, poi, potrei trovare per descrivere quello che è accaduto verso la fine del concerto, quando Markus, abbandonato il suo fedele clarinetto, ha abbracciato il didgeridoo, strumento antico proveniente dall'Australia, dal suono profondo ed evocativo come pochi, Danilo sempre barricato dietro alla batteria ha agguantato un tamburo e Fabio, deposto il duduk ha ripreso in mano il flauto traverso e senza neppure uno sguardo hanno cominciato. Sono partiti per un altro viaggio musicale trasportando tutti noi con loro. Il suono ci avvolgeva tutti, ci abbracciava, ci riempiva e cresceva; quella mescolanza di suoni antichi e moderni fusi perfettamente tra loro ci proiettava in una dimensione sonora davvero struggente. Erano già trascorsi diversi minuti dall'inizio del brano quando improvvisamente gli alberi fino ad allora immobili hanno cominciato a muoversi tutto intorno a noi, il vento sembrava accrescere sempre più la sua forza e soffiava e sibilava sempre più intensamente; quella che pareva essere una semplice folata si rivelò tutt'altro. Sembrava che qualche spirito della foresta si fosse improvvisamente destato e avesse deciso di unirsi ai tre musicisti smuovendo l'aria con un'incredibile forza naturale avvolgendoli completamente con il suo magico strumento. Il trio diventato ora quartetto grazie a questa presenza del tutto inattesa continuava ancora in un crescendo continuo fino a quando, sia la musica che il vento hanno cominciato lentamente a perdere d'intensità fino a scomparire del tutto lasciando posto ad un silenzio palpabile e al nostro stupore, alla nostra incredula meraviglia.
Ecco ditemi voi, come potrei trovare parole adatte a raccontare un momento così intenso e sublime senza essere considerato un "partigiano" visionario ed emotivo?
No, mi dispiace non è per mancanza di coraggio e di generosità che non racconterò nulla, ma solamente per la mia totale incapacità a trovare vocaboli "giusti" per potervi trasmettere un solo briciolo di quell'emozione che ho provato ieri sera su quel tappeto d'erba, assieme a pochi altri, circondati da una sontuosa e magica scenografia naturale.

stefano